Auguri e buona rivoluzione a tutti

ROMA – Annata davvero anomala per farsi gli auguri. Di cosa poi? Augurarsi il consueto “buon Natale”, oppure auspicare prosperità per l’anno a venire, mettendo la mano al portafoglio per regali tanto futili quanto efficaci per colmare i profondi vuoti, sociali e politici, che ognuno porta dentro di sè.

Il clima non è affatto dei migliori, tra rabbia, rassegnazione e voglia di quel cambiamento che non arriva mai, un po’ per abitudine, un po’ per paura di perdere quel poco che è rimasto da difendere.
Eppure come dicono gli esperti il 2012 non sarà un anno tanto tranquillo. Anzi, il peggio non è ancora arrivato. L’Italia è in caduta libera verso una fase critica di recessione e tra qualche mese gli effetti devastanti si faranno sentire,  grazie soprattutto alle incapacità di governanti che da troppo tempo hanno perso il contatto con la realtà del Paese e di scelte coraggiose non ne vogliono proprio sapere.
C’è poco da sperare perchè la politica non solo offre da troppo tempo un panorama davvero sconfortante, perchè  teme i grandi cambiamenti che provocherebbero la perdita di quegli equilibrismi che mantengono inalterato questo deprecabile “status quo”. Il loro principalmente.
E’ proprio vero, cambiano i musicisti, ma la musica rimane sempre la stessa, come dice il proverbio.

Ieri  è stata una delle tante prove del nove con il cosiddetto  milleproroghe, incluso il rifinanziamento delle missioni militari all’estero. Altro che equità.  Il Cdm, riunitosi appositamente per affrontare la questione,  dice di aver scandagliato la situazione economica del Paese con particolare attenzione per i tempi centrali. Beviamocela pure così, ma il messaggio suona come l’ennesima presa in giro.
E allora viene da chiedersi quali siano le ragioni per cui il Parlamento italiano debba decidere si sborsare ingenti somme di denaro, di tutti noi, ignorando ancora una volta le vere necessità. Necessità che non dovrebbero essere sottovalutate in un clima di  esasperazione come quella a cui si assiste quotidianamente.

Tuttavia la ricetta Monti, come ha fatto notare  lo scorso giovedì sera a “Servizio Pubblico” Gianfranco Polillo, sottosegretario al ministero dell’Economia, prevede una fase due, la quale detta così a parole sembra sortire l’effetto di un ritardo non quantificabile. Insomma, la solita presa in giro del tipo prima agiamo con il bastone e poi forse, tiriamo fuori una carota che sarà visibile solo dopo aver sudato sette camicie. Forse.

Lavoratori senza occupazione, giovani senza futuro, pensionati sempre più poveri e un esercito sempre più cospicuo di cassaintegrati. La cosa assurda è che in Italia si è indigenti anche lavorando, proprio come precisava qualche tempo fa il segretario della Fiom Maurizio Landini. Perchè le nostre retribuzioni, per chi ancora le riceve, erano e sono sempre le più basse d’Europa ed è così che le nostre vite si sono ridotte ad un continuo dare per mantenere quella sopravvivenza “borderline”, ovvero ad un passo dal confine con la povertà nera.

Il presidente Mario Monti – a parole  – azzarda una improbabile Tobin Tax sulle transazioni finanziarie,  tanto sa benissimo che qualunque provvedimento venga pronunciato contro quel pugno di persone che detengono il potere economico, sarà rigettato al mittente. Altro che patrimoniale o tassazioni sui capitali scudati, usciti tranquillamente dal paese e rientrati ai suoi legittimi proprietari senza nessuna penale. D’altra parte erano soldi che sarebbero serviti a far ripartire l’economia, dicevano i politici.
Alla fine l’arma migliore è rimasta quella di colpire il misero cittadino, il lavoratore rimasto senza quella dignità acquisita attraverso anni di dolore e fatica, di vittorie pagate a caro prezzo. Bastava percepire il silenzio di chi governa il paese di fronte ai tanti ex lavoratori inascoltati che nonostante tutto continuano a lottare con tenacia nella speranza di farcela. Sorvoliamo sui singoli casi perchè si potrebbe scrivere un libro di quello che non è stato mai fatto.

Eppure in questo clima d’incertezza qualcosa si sta muovendo lentamente anche in Italia. Qualcuno sta iniziando ad aprire gli occhi. Li hanno aperti perfino nell’area del Maghreb, da quando è partita la rivoluzione del “pane”. Insomma la società civile è in continuo fermento. E’ stanca dei sorprusi, delle falsità e delle promesse mai mantenute. Il grido della democrazia, quella vera questa volta, si leva un po’ ovunque. Un bisogno che accomuna diversi popoli della terra, da piazza Tahir fino alla sede di Wall Street, presidiata da settimane da uomini e donne che chiedono giustizia contro ogni speculazione economica, contro gli scempi ambientali e sociali nel nome del dio denaro.
L’Italia non uscirà indenne da questo vento caldo che spira incessantemente dal sud del mondo.  Piccoli focolai che sanno di una rivoluzione planetaria delle coscienze non più rimandabile. La rivolta di una ragione che ha provocato un dissenso che accomuna e che ora si allarga a macchia d’olio e si intensifica. C’è perfino quel senso di ritrovarsi, di ricongiungersi in una battaglia civile e non violenta. Lavoratori con studenti, famiglie al fianco dei movimenti, pensionati con uomini e donne per i diritti civili. Insomma tante storie una sola voce perchè una volte per tutte il  senso del collettivo possa trionfare in qualsiasi parte della terra.

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