Crisi economica. Quando si cancella la cultura lo Stato ha fallito

ROMA – Il primo passo che segna la decadenza di un Paese è quando la cultura viene ignorata, cancellata o addirittura svenduta. E delle tradizioni culturali italiane, un tempo culla del vecchio continente,  se ne parla poco e si fa poco per difenderle e trasmetterle alle generazioni future al fine di formare menti e coscienze.  

Diamo sempre per scontato perfino tutte le bellezze ereditate dal passato e testimoniate attraverso le città d’arte che regalano una scenografia unica al Paese. In questo contesto sono state sminuite  anche le capacità professionali che ogni giorno generano nuova linfa vitale per veicolare conoscenza e creatività, perchè oggi cultura assume inevitabilmente  una concezione più allargata rispetto al passato che implica educazione, istruzione, ricerca scientifica e conoscenza.

Che il 62% del patrimonio mondiale si trovi proprio in Italia ha ben poca importanza, visto che non siamo neppure in grado di sfruttare il loro potenziale, nonostante rappresentino una ricchezza storico-artistica unica al mondo,  e finalmente competere con quei paesi che nel corso degli anni hanno saputo puntare sulla cultura sostenendo  processi di sviluppo validi ed efficaci che hanno fruttato in termini economici. Il modello Berlino è solo un esempio indicativo di come un governo possa puntare e muoversi al fine di produrre ricchezza esclusivamente attraverso la cultura e la produzione creativa. E i dati degli afflussi turistici parlano da soli, come lo testimonia il fatto che si sono creati migliaia di nuovi posti di lavoro.

Anche gli investimenti sono sempre di meno e mal distribuiti. A partire dal tanto decantato Fus, Fondo unico per lo spettacolo, non più sufficiente a mantenere i cosiddetti luoghi della cultura.  Una situazione davvero paradossale con teatri e fondazioni commissariati e conseguenti tagli del personale che dicono sia la spesa maggiore. E poi spuntano stipendi d’oro come quello erogato al sovritendente del teatro della Scala di Milano Stéphane Lissner, con oltre 1 milione di euro lordi all’anno. Non meravigliamoci poi se risorse culturali come l’orchestra  di Roma e del Lazio si volatilizza nel giro di un paio d’anni perchè le istituzioni guardano altrove e lasciano decine di persone improvvisamente senza stipendio.
 
Siamo in piena emergenza culturale. Le associazioni di settore promettono battaglia e le manifestazioni  per sensibilizzare l’opinione pubblica e per salvaguardare il posto di lavoro si moltiplicano.
Dal Teatro Valle occupato di Roma, alla recente mobilitazione torinesi contro la scelta del Comune di tagliare del 60 per cento i fondi per il Piemonte Film Commission, al coordinamento nato a Sanremo per contrastare i continui tagli alle manifestazioni culturali, fino ad arrivare a Cinecittà dove da giorni 350 lavoratori dell’Hollywood italiana sono in presidio permanente contro i probabili trasferimenti e licenziamenti che dovranno subire passivamente.

Insomma in Italia non si muove una paglia e non c’è la volontà politica di far fronte a questa vergognosa situazione. Non fanno riflettere i nostri governanti neppure gli immensi depositi di ricchezza artistica sparsi nel Paese, spesso abbandonati al loro decadente destino, che però ogni anno 15 milioni di turisti  affollano. Si tratta di oltre 2.500 punti di interesse culturale, tra musei, siti e monumenti storici. La dice lunga il fatto che spesso un archeologo in Italia non arrivi neppure a guadagnare mille euro al mese, lavorando come precario a partita Iva, sempre in attesa dei pagamenti su lavori che lo Stato stesso ha commissionato e che tarda a pagare anche per mesi.  

Insomma una vergogna nella vergogna, in cui perfino gli sponsor privati si allontanano dubbiosi perchè manca la fiducia da parte delle stesse istituzioni che dovrebbero operare al fine di incentivare la crescita in questo delicato e importantissimo settore, il quale se privato di nuovi sviluppi culturali non potrà ottenere un conseguente sviluppo economico. Ma attenzione. Riscoprire la cultura come volano economico non deve significare appropriarsi del solito modello speculativo che deve necessariamente puntare sull’andamento positivo della moneta. La cultura non è un gioco in borsa e neppure un investimento che procura rendite finanziarie facili e nell’immediato. Perchè questo significherebbe ricadere nello stesso vuoto della crisi economica in cui ci troviamo ora, con l’aggravante di aver fallito nell’unico bene prezioso che ci rimane: quello della cultura.

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