CPT Regina Pacis. Il luogo dei senza diritti. Un ecomostro da abbattere

ROMA – La storia desolante dell’ex CPT (Centro di Permanenza temporanea) Regina Pacis di San Foca nel leccese sembrerebbe quasi un dramma teatrale in più atti e più voci: una storia di violenze, vessazioni e disperazione prima; di incuria, menefreghismo e inerzia poi.

Di proprietà della Curia, dal 1997 sino al 2005, infatti, quello scorcio di litoranea assolata e un po’ selvatica, è stato scenario macabro di abusi gravi e reiterati nei confronti degli immigrati ospitati nella struttura. Diversi sono stati, infatti, i casi di tentato suicidio o di atti autolesionistici da parte di alcuni di essi. E diverse sono state anche le denunce e le inchieste nei confronti di Don Cesare Lodeserto, a capo, per conto della Curia leccese, della fondazione che ha gestito la struttura sino alla sua dismissione avvenuta nel 2005. Lodeserto, seppur oggetto di condanne in diversi procedimenti, ad oggi non ha scontato nemmeno un giorno di carcere, poiché residente in Moldavia dal 2007, anno in cui il vescovo Monsignor Francesco Ruppi lo invia lì in missione “fidei donum”.

Da circa sette anni l’ex CPT è dunque una struttura in completo stato di abbandono. A partire dal 2005 l’edificio è del tutto dismesso e si è lentamente trasformato in un cumulo di cemento, sporcizia e rifiuti di ogni genere: nonostante il cartello che impone il divieto di entrata, in realtà la struttura è ampiamente accessibile, visto che uno dei due cancelli di ingresso è stato rimosso. Diversi abitanti della zona e utenti della spiaggia vicina hanno denunciato nel corso degli anni lo stato di fatiscenza dell’edificio, evidenziando come una struttura zeppa di sporcizia e abbandonata a se stessa sia lasciata alla facile portata, ad esempio, dei bambini che frequentano l’arenile. Di questo stato di totale incuria ci si può rendere conto anche senza oltrepassare l’inesistente ingresso del luogo: basta gettare lo sguardo un minimo in avanti per avere davanti agli occhi un indecoroso spettacolo di siringhe,profilattici, rifiuti, insetti di ogni specie. Sorgono quindi i primi interrogativi: una volta decretata la chiusura del Cpt, è stata fatta un’opera di bonifica dell’area nonché di messa in sicurezza? Se la risposta è affermativa, come mai tra gli interventi non è stata prevista l’installazione di un cancello che impedisse realmente l’accesso a chiunque? Se la Curia, fino a poco tempo fa proprietaria della struttura, non ha provveduto in tal senso, come mai enti quali ad esempio la Regione, che ha precise competenze in materia ambientale e di tutela del paesaggio, non hanno pensato di provvedere?
Un passaggio cruciale, peraltro, che riguarda le sorti del Regina Pacis è dato dal fatto che poco tempo fa la Curia ha venduto il terreno a Rico Semeraro,membro della nota famiglia leccese di imprenditori. Non è dato sapere quale sia stato il costo dell’operazione, anche se è lecito immaginare che in un simile stato di abbandono si sarà sicuramente trattato di un prezzo notevolmente basso. Dal Comune di Melendugno,a cui fa riferimento il territorio di San Foca,ci informano che Semeraro ha presentato un progetto di ristrutturazione dell’area, il quale però non è attualmente accessibile e le cui finalità, quindi, non sono al momento rese note. Seppur, ad oggi, ignari delle reali intenzioni d’uso dell’area, data la posizione dell’edificio a pochi metri dal mare, possiamo comunque immaginare che si tratti di un’opera edilizia a fini commerciali. Sempre dal Comune di Melendugno tengono a precisare che non solo il Consiglio comunale, ma anche la Regione dovrà valutare la fattibilità o meno del progetto e quindi esprimere un parere in merito.

Nel silenzio generale che ha investito la vicenda, più volte esponenti politici locali e associazioni dei consumatori hanno chiesto alle istituzioni di competenza di prendere in mano la situazione e abbattere la struttura, sia per evitare ulteriori danni paesaggistici e di immagine, sia per impedire che sulla pelle di quelle mura, teatro macabro di orrori e sevizie, qualcuno potesse specularci e creare l’ennesima struttura turistica a due passi dalla spiaggia. Come detto sopra, non abbiamo notizie circa le finalità d’uso del progetto di Semeraro, ma data la posizione possiamo pensare che si tratterà proprio dell’ipotesi che cittadini e associazioni avrebbero voluto scongiurare.

Stante il fatto che la Curia ha la libertà di vendere al prezzo e all’acquirente che ritiene più idonei, e che Semeraro, come qualsiasi altro privato cittadino, ha facoltà di acquistare se le condizioni di vendita gli sono favorevoli, ci sono però degli interrogativi a cui sarebbe forse corretto che gli enti competenti rispondessero. Come mai, in una zona costiera in cui vi è un alto afflusso turistico, si è tollerato che per oltre sette anni potesse prendere forma un simile ecomostro? Sono mai state compiute opere di bonifica? La Regione, ad esempio, che proprio sul vincolo paesaggistico sarà chiamata a esprimersi, come mai non ha ritenuto idonea la soluzione di abbattimento dell’edificio proprio a causa del suo stato e della posizione? Sempre la Regione, ha mai pensato di aprire una trattativa con la Curia per eventualmente assumersi la gestione del luogo, il quale magari sarebbe potuto diventare uno spazio ricreativo per turisti e abitanti della zona, o un’area museale, o magari un centro culturale gestito da associazioni selezionate?

Alcune settimane fa ho inviato una mail a Lorenzo Nicastro, assessore alla Qualità dell’Ambiente, in cui da cittadina pugliese, prima che da redattrice, chiedevo di poter ottenere alcune delucidazioni in più circa la vicenda e il ruolo che la Regione ha svolto sino ad ora . Ad oggi, 16 Luglio, la risposta non è ancora arrivata: eppure un chiarimento sarebbe quanto meno doveroso, in particolare nei confronti degli abitanti e degli utenti della zona, i quali per anni hanno dovuto forzatamente tollerare un simile spettacolo degradante.
La storia del Regina Pacis costituisce forse soltanto un granello infinitesimale di quella che è la geografia complessiva di simili ecomostri, dislocati praticamente ovunque nel territorio italiano. È un luogo di una macabra e degradata solitudine che può risultare quasi tristemente affascinante: assolato, desolato, adiacente e speculare ad un classico paesaggio turistico da cartolina. Ma, in quello scorcio da fotografia, ciò che tratteggia realmente la fisionomia del luogo sono gli sguardi vuoti e abbandonati degli immigrati oggetto di torture, che ancora attendono giustizia. Sono  gli occhi indifferenti di chi ha lasciato che il tempo e l’incuria levigassero malamente un simbolo della cementificazione selvaggia e anche dell’inerzia generale che spesso contorna vicende analoghe. È il buio, il sole che scende al tramonto, anche alle due del pomeriggio, perfino a Est.

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