Napolitano. Intercettazioni illecite, conflitto tra poteri dello Stato

ROMA – Dopo il polverone sollevato dall’editoriale di Eugenio Scalfari su “Repubblica”, per qualche giorno la polemica è rimasta confinata alle pagine dei quotidiani.  Almeno fino ad oggi quando ad esprimersi in merito a presunte illecite intercettazioni sulla sua utenza da parte della polizia giudiziaria è il Capo dello Stato.

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha infatti firmato il decreto che affida all’Avvocatura dello Stato l’incarico di sollevare il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. In pratica secondo Napolitano dovranno essere i giudici delle leggi a pronunciarsi sulla legittimità dell’attività inquirente della Procura di Palermo in relazione alla vicenda delle telefonate intercettate tra il consigliere del presidente per gli Affari giuridici Loris D’Ambrosio e l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa tra apparati dello Stato e capi della mafia per mettere fine alla stagione delle stragi del 92-93.

Le intercettazioni telefoniche del Capo dello Stato

 “Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano – si legge in una nota – ha oggi affidato all’Avvocato Generale dello Stato l’incarico di rappresentare la Presidenza della Repubblica nel giudizio per conflitto di attribuzione da sollevare dinanzi alla Corte Costituzionale nei confronti della Procura della Repubblica di Palermo per le decisioni che questa ha assunto su intercettazioni di conversazioni telefoniche del Capo dello Stato; decisioni che il Presidente ha considerato, anche se riferite a intercettazioni indirette, lesive di prerogative attribuitegli dalla Costituzione”.
 Alla determinazione di sollevare il confitto, il Presidente Napolitano è pervenuto ritenendo “dovere del Presidente della Repubblica”, secondo l’insegnamento di Luigi Einaudi, “evitare si pongano, nel suo silenzio o nella inammissibile sua ignoranza dell’occorso, precedenti, grazie ai quali accada o sembri accadere che egli non trasmetta al suo successore immuni da qualsiasi incrinatura le facoltà che la Costituzione gli attribuisce”.

LE NORME COSTITUZIONALI

 – Nel decreto è scritto che “a norma dell’articolo 90 della Costituzione e dell’articolo 7 della legge 5 giugno 1989, n. 219 salvi i casi di alto tradimento o attentato alla Costituzione e secondo il regime previsto dalle norme che disciplinano il procedimento di accusa – le intercettazioni di conversazioni cui partecipa il Presidente della Repubblica, ancorché indirette od occasionali, sono da considerarsi assolutamente vietate e non possono quindi essere in alcun modo valutate, utilizzate e trascritte e di esse il pubblico ministero deve immediatamente chiedere al giudice la distruzione”.

IL SEME DELLA DISCORDIA

 All’origine del conflitto sono le intercettazioni di contatti telefonici tra Mancino e Loris D’Ambrosio, nel corso delle quali l’ex ministro chiedeva un intervento per assicurare il coordinamento delle indagini svolte, a sua dire, da vari uffici giudiziari: Palermo, Caltanissetta e Firenze. Alle telefonate sono seguiti contatti con il pg della Cassazione e con il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso che non ritenne di dovere fare alcun passo per verificare il coordinamento delle inchieste. Nel frattempo sono circolate indiscrezioni su un possibile contatto telefonico diretto tra Mancino e Napolitano. In un’intervista il pm Nino Di Matteo aveva però sostenuto che “negli atti depositati non c’è traccia di conversazioni del Capo dello Stato e questo significa che non sono minimamente rilevanti”.

Il Procuratore di Palermo: sono sereno

 Rispondendo alle domande dei cronisti al termine di un incontro in Procura a Palermo, il Procuratore Capo, Francesco Messineo si è detto “sereno” in merito all’iniziativa di Napolitano. “Ci regoleremo secondo i tempi e le modalità delle previsioni di legge. Questo fatto non influirà in alcun modo sui tempi della richiesta di rinvio a giudizio nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa”. “Le norme messe a tutela del presidente della Repubblica riguardo a un’attività diretta a limitare le sue prerogative – ha aggiunto Messineo – sono state rispettate”.

INGROIA: non c’è bisogno di autorizzazione

“Non esistono intercettazioni rilevanti nei confronti di persone coperte da immunità”. Lo ha detto il Procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia. “Se l’intercettazione non è rilevante per la persona sottoposta a immunità, ma lo è per un indagato qualsiasi, è legittima e può essere utilizzata”.
“Non esistono intercettazioni rilevanti nei confronti di persone coperte da immunità – ha concluso il magistrato -. E per quelle non coperte da immunità non c’è bisogno di alcuna autorizzazione a procedere”.

Il guardasigilli  Paola Severino con il Quirinale

 Da Mosca, città nella quale si trova in visita ufficiale, il guardasigilli Paola Severino, ha difeso la decisione del Quirinale. Il ministro ha osservato che anche nella citazione di Einaudi da parte di Napolitano si legge “chiaramente lo scopo dell’attivazione di questa procedura, non certo quello di sollevare conflitti politici o polveroni”. “Il capo dello Stato ha utilizzato il mezzo più corretto tra quelli previsti dal nostro ordinamento per risolvere i problemi interpretativi della legge sulle intercettazioni quando queste abbiano ad oggetto conversazioni telefoniche che hanno come interlocutore anche il capo dello Stato”, ha spiegato il guardasigilli.

SALVATORE BORSELLINO attacca il capo dello Stato

Di tutt’altro tono la reazione di Salvatore Borsellino. “Un vero e proprio attentato alla Costituzione da parte del capo dello Stato e di conseguenza di una sua messa in stato d’accusa”. Così il fratello del giudice Paolo, commenta la decisione del Quirinale. “Per quel che ne so, il presidente della Repubblica non ha nessuna prerogativa su indagini giudiziarie della magistratura, che è un organo libero, e non può intervenire sulle sue azioni. È un’iniziativa contro quella Procura che sta cercando di far luce su quanto è successo, e ha portato alla strage del 19 luglio 1992″. Per Borsellino, la decisione di Giorgio Napolitano “si tratta di una reazione di un uomo disperato che sa, che se venissero rese pubbliche quelle intercettazioni, non avrebbe che una possibilità: dimettersi”.

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