Vatileaks. Paolo Gabriele se la cava con 18 mesi ai domiciliari e forse arriva la grazia

ROMA – Ad una settimana esatta dalla sua apertura, questa mattina si è celebrato l’atto conclusivo del “processo – lampo” per il furto di documenti riservati dalle segrete stanze del Pontefice.

Alle 12.20, dopo poco più di due di camera di consiglio, i giudici del tribunale vaticano hanno emesso la sentenza nei confronti di Paolo Gabriele, l’ex assistente di camera di Benedetto XVI, accusato di furto aggravato nell’ambito dello scandalo Vatileaks. Per il “corvo” la condanna è a tre anni di reclusione ma, viste le attenuanti, la pena è stata ridotta a 18 mesi, più il pagamento delle spese processuali.

La sentenza
 “Visti gli articoli 402, 403 numero 1, 404 primo comma numero 1 – ha detto il presidente del tribunale vaticano, Giuseppe Dalla Torre del Tempio di Sanguinetto, leggendo il dispositivo della sentenza – il tribunale dichiara l’imputato colpevole del delitto previsto dall’art 404 primo comma numero 1 del codice penale per avere operato con abuso della fiducia derivante dalla funzione da lui svolta alla sottrazione delle cose che erano lasciate o disposte alla fede dello stesso. Lo condanna pertanto alla pena di anni tre di reclusione. In considerazione dell’assenza di precedenti penali, delle risultanze dello stato di servizio in epoca antecedente ai fatti contestati, e del convincimento soggettivo, sia pur erroneo, del movente della sua condotta, nonché della dichiarazione circa la sopravvenuta consapevolezza di aver tradito il Papa, diminuisce la pena a un anno e sei mesi di reclusione”.
Accolta, dunque, la richiesta formulata stamani nella sua requisitoria dal pm Nicola Picardi, il quale aveva chiesto per Gabriele tre anni di reclusione, considerando il capo di imputazione di furto aggravato e le attenuanti generiche. L’avvocato di parte Cristiana Arru, aveva invece chiesto la derubricazione del reato da furto a appropriazione indebita con conseguente rilascio dell’imputato, oppure il minimo della pena per furto, cioè tre giorni di reclusione.
Il tribunale vaticano ha disposto per l’uomo i domiciliari, in attesa che la difesa di Gabriele decida se fare richiesta di appello. Solo dopo, dunque, la magistratura vaticana deciderà come far scontare la pena al’ex maggiordomo di Benedetto XVI, se in un carcere italiano o se far scattare una sospensiva a causa delle attenuanti.

Probabile la grazia
Si fa tuttavia sempre più consistente la possibilità, ventilata già nei giorni scorsi, che Benedetto XVI possa decidere di concedere la grazia al suo ex assistente di camera. A riguardo è infatti intervenuto Padre Federico Lombardi, portavoce della Sala Stampa Vaticana.
“Posso dire che l’eventualità della grazia è molto concreta e verosimile ha detto Lombardi – Non so dire i tempi e i modi, ma posso affermare che il Papa studi l’eventualità, senza timore di essere smentito”, ha detto il gesuita. “Ora ci sono anche gli atti di questo processo – ha detto Lombardi in riferimento alla parallela inchiesta svolta nei mesi scorsi da una commissione cardinalizia – e il Papa riceve tutte le informazioni e valuta la sua posizione”.

Gabriele: “non mi sento un ladro”
Solo un sorriso accennato. Nessun commento alla sentenza da parte dell’imputato, il quale, però, prima che i giudici si ritirassero in camera di consiglio, rispondendo alla domanda del presidente del tribunale vaticano, Giuseppe dalla Torre, se si sentisse colpevole o innocente, ha ribadito di aver agito in assoluta buona fede: “La cosa che sento forte dentro di me è la convinzione di aver agito per esclusivo, direi viscerale, amore per la Chiesa di Cristo e per il suo capo visibile. E se lo devo ripetere, non mi sento un ladro”.

Le questioni irrisolte
Sebbene si sia concluso con una sentenza di colpevolezza, il caso Vatileaks, però, non appare pienamente concluso. Sono molti, infatti, i dubbi e le questioni che il processo non ha chiarito affatto. Che dire degli altri capi di imputazione ben più gravi, quali il delitto contro i poteri dello Stato, il vilipendio delle istituzioni dello Stato, la calunnia, la diffamazione, la violazione dei segreti, su cui ha indagato l’apposita commissione cardinalizia guidata dal cardinal Julian Herranz? Per non parlare poi degli eventuali complici e del vero movente che ha guidato l’azione del “corvo” Gabriele. Davvero un solitario “infiltrato dello Spirito Santo” nella Chiesa?

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