Sanità. Le smentite di Monti non convincono. Sistema pubblico a rischio

ROMA – Qualche giorno fa  il Presidente del Consiglio Mario Monti ha dichiarato che è ormai a rischio la sostenibilità del nostro servizio sanitario nazionale e che, quindi, è giunto il momento di pensare a nuove forme di finanziamento.

Un’affermazione grave quanto del tutto immotivata. Non basta certo una successiva smentita per far rientrare l’allarme che quella dichiarazione ha suscitato: ad oggi di insostenibile ci sono i tagli operati al finanziamento del nostro sistema sanitario. L’attuale governo  con due provvedimenti, la “spending review e la legge di stabilità, ha ridotto di 9.4 miliardi di euro le risorse destinate alla sanità per gli anni 2012-2015.

 Tagli per trenta miliardi nel periodo 2011-2015

Se questi tagli si sommano a quelli operati dal precedente governo per il periodo 2011-2015 arriviamo ad una riduzione del finanziamento al nostro servizio sanitario che si aggira attorno ai 30 miliardi di euro. E’ così che si mette davvero a rischio il servizio pubblico. Questa drastica riduzione di risorse farà sì, infatti, che non saranno più garantiti i livelli essenziali di assistenza per tutti i cittadini. E’ quanto sta già avvenendo in alcune regioni.
Chiediamoci ora se il nostro sistema sanitario è davvero insostenibile. Se, cioè, nella sanità si spendono troppe risorse. Ci sono molti dati, studi, ricerche, che dimostrano esattamente il contrario. Nel nostro paese la spesa sanitaria si attesta attorno al 7% del Pil (indicatore che, tra l’altro diversi studiosi considerano non più idoneo ad esprimere lo stato di benessere di un paese), in Francia e in Germania tale rapporto supera il 9%  come si evince da questi dati, la nostra spesa sanitaria non è certo eccessiva. La stessa spesa pro-capite italiana, tra il 2000 e il 2010, è tra le più contenute in Europa.

Nei documenti ufficiali previsto  di transitare verso il privato

Perché allora questo allarme?Le vere ragioni le possiamo trovare in alcune frasi contenute nel documento  che ha accompagnato la presentazione al Parlamento della spending review. Li si dice infatti che è giunto il momento di decidere se e come “ridurre il perimetro pubblico della sanità” e verificare quali prestazioni sanitarie possono transitare dal servizio pubblico ai privati. Ecco il punto: si drammatizza un presunto eccesso di spesa per operare verso una progressiva privatizzazione del nostro sistema sanitario. Questa è la vera partita che si sta giocando e che si giocherà nei prossimi mesi. D’altra parte cosa intende il Presidente del Consiglio quando afferma che bisogna pensare a nuove modalità di finanziamento?Pensa con ogni probabilità ad un più ampio spazio per le assicurazioni e per i fondi privati.

 
In campo  assicurazioni e  riduzione di specialistica e diagnostica

Come può avvenire questa progressiva privatizzazione del nostro servizio sanitario? Ci sono due strade attraverso cui ciò può verificarsi. La prima è quella che prevede che i percettori di redditi  medio alti  paghino le prestazioni offerte dal servizio sanitario. Ciò consentirebbe di creare un mercato più ampio per le assicurazioni private. La conseguenza di una simile scelta è evidente. I redditi più alti, incentivati da una riduzione delle tasse troverebbero più conveniente servirsi delle assicurazioni private. I redditi medio-bassi, gli anziani, i malati cronici, continuerebbero a rivolgersi  al servizio sanitario pubblico che però, impoverito a causa di una riduzione delle entrate fiscali, offrirebbe prestazioni peggiori di quelle offerte oggi. Come è noto, inoltre, le assicurazioni selezionano sulla base del rischio: proprio le persone che hanno maggiore bisogno di assistenza (malati cronici, malati di HIV, tossicodipendenti) sono quelli esclusi dalle assicurazioni.
C’è una seconda strada attraverso cui può prendere corpo la progressiva privatizzazione della sanità. Quella, ad esempio, di ampliare lo spazio del privato nella diagnostica e nella specialistica. Anche in questo caso le conseguenze sono chiare: l’intero settore della specialistica e della diagnostica uscirebbe dai livelli essenziali di assistenza (LEA) per alimentare un mercato privato che si aggira attorno ai 20 miliardi di euro.

In discussione il diritto universale alla salute

E’ evidente ciò che produrrebbero le scelte fin qui richiamate: si metterebbe radicalmente in discussione il servizio sanitario universalistico introdotto con la riforma sanitaria del 1978 (la legge 833). Lasciare più spazio ai fondi privati significherebbe infatti lasciare campo libero alle assicurazioni che, come abbiamo prima messo in evidenza curano solo chi ha risorse adeguate per farlo.
Va segnalato infine un altro aspetto. Se si guarda all’esperienza americana non è difficile rendersi conto che sono proprio i paesi con un sistema sanitario fondato sulle assicurazioni ad avere la spesa più alta in rapporto al Pil. Negli USA infatti la spesa sanitaria ha raggiunto di recente il 16% del Pil. Nonostante ciò ci sono ben 47 milioni di persone prive di assistenza proprio perché non hanno le risorse necessarie per farsi l’assicurazione. E’ la ragione per cui Obama cerca di riformare quel sistema.
Ci sembra assurdo che invece qualcuno quel sistema vorrebbe importarlo nel nostro Paese. Il diritto universale alla salute e alle cure può essere garantito solo da un servizio sanitario pubblico. E ciò che occorre è esattamente il contrario della privatizzazione.
Occorre infatti investire nella prevenzione, nei servizi sul territorio, nell’integrazione socio-sanitaria. E’ solo così che si riusciranno a garantire diritti di cittadinanza e, al tempo stesso, sviluppo e innovazione.

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