Loggia P3: il giudice Marra lascia la magistratura

Con una lettera indirizzata al Csm Alfonso Marra si è dimesso di fatto dalla magistratura. Sollievo dall’Anm per la decisione

ROMA – Il Presidente del Consiglio li ha definiti «quattro vecchietti che millantavano conoscenze», ma il clamore della vicenda sollevato dalla P3 ha iniziato a produrre i propri effetti. In attesa dell’inchiesta giudiziaria, il mondo della magistratura registra oggi la fine della carriera del giudice Alfonso Marra, sulla cui nomina a presidente delle Corte d’Appello di Milano pende la mano di Flavio Carboni e soci. In particolare la P3 si impegnò per convincere alcuni membri del Csm affinché nella votazione del 3 febbraio scorso preferissero Marra al più quotato Renato Rordorf . Ci riuscirono sul fil di lana, portando a casa 14 voti favorevoli e 12 contrari.

Appena nominato, Marra dovette subito restituire il favore: gli capitò tra le mani la vicenda dell’esclusione dalle elezioni regionali della lista del presidente uscente della Lombardia Formigoni e così gli amici iniziarono a fare pressione. Ecco cosa scrissero gli investigatori appena fu resa nota la P3: «Non appena il Marra ha ottenuto, dopo un’intensa attività di pressione esercitata dal gruppo (ed in particolare dal Lombardi sui membri del Csm), l’ambita carica, i componenti dell’associazione gli chiedono esplicitamente di porre in essere un intervento nell’ambito della nota vicenda dell’esclusione, da parte dell’ufficio giudiziario che il Marra era andato a presiedere, della lista riconducibile al governatore dalle elezioni regionali del marzo». Purtroppo per i “vecchietti millantatori” l’intervento non produsse alcun effetto, «evidentemente – scrissero ancora gli inquirenti – a causa della non condizionabilità dei componenti del collegio chiamato ad esprimersi, ma la vicenda, completamente documentata in tutte le sue fasi, risulta assai sintomatica del modus operandi dell’organizzazione».

Un giudice non può essere ricattabile e per Marra scattò immediatamente il trasferimento d’ufficio per incompatibilità. Oggi doveva essere ascoltato dal Csm, ma anziché presentarsi ha preferito far pervenire una lettera attraverso il magistrato Pier Camillo Davigo. «Ritengo di aver servito per oltre 45 anni con disciplina ed onore l’Istituzione», scrive Marra, «nessun rilievo mi era mai stato mosso e gli organi di autogoverno mi avevano conferito funzioni semi direttive e direttive prestigiose, anche a prescindere dalla nomina alla presidenza della Corte d’Appello di Milano. Qui mi limito a ribadire con fermezza che non sono mai venuto meno ai miei doveri di magistrato». Dopo la difesa del suo lavoro Marra aggiunge di temere che «nella situazione creatasi la mia permanenza alla presidenza della Corte d’Appello di Milano possa incidere sul buon andamento dell’amministrazione giudiziaria e sull’attività degli organi di autogoverno».

Questa decisione era stata auspicata dall’Anm che, attraverso il suo presidente Luca Palamara, nota come si «pone fine a una vicenda che ha messo a serio rischio la credibilità dell’intera istituzione», perché «il tema della questione morale e della correttezza dei comportamenti deve assumere carattere centrale nel dibattito all’interno della magistratura dove non possono essere tollerate zone d’ombra».

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