ROMA – Un gigante, un uomo con una coscienza, soprattutto un uomo coraggioso. Insomma, tutto quello che non riesce ad essere Silvio Berlusconi, individuo pavido, timoroso di finire in prigione, assediato dalle sue ossessioni sessuali. Da ieri pomeriggio, la figura di un modesto uomo politico siciliano, Salvatore Cuffaro, Totò, in arte chiamato “vasa vasa” per la sua abitudine di baciare sulla guancia amici e sconosciuti, si staglia come un monumento antico di fronte alla piccola (in senso fisico e metaforico) statura dell’attuale presidente del Consiglio.
Nessuno, dopo le parole pronunciate dall’ex Presidente della Regione siciliana di fronte al suo domicilio e in procinto di raggiungere Rebibbia, ha potuto evitare di paragonarle agli attacchi scomposti e sovversivi con i quali il premier combatte quotidianamente con i giudici, nella consapevolezza che soltanto in questo modo può evitare quella galera verso cui Cuffaro si è avviato con coraggiosa e idomita sensibilità istituzionale. “Sono stato chiamato a sopportare una prova” ha dichiarato Cuffaro. “Questa prova, che certamente non è facile, ha rafforzato in me la fiducia nella giustizia e soprattutto ha rafforzato la mia fede. Se ho saputo resistere in questi anni difficili è soprattutto perché ho avuto tanta fede e la protezione della Madonna – ha continuato – Adesso affronterò la pena come è giusto che sia, è un insegnamento che lascio come esempio ai miei figli. Sono stato un uomo delle istituzioni e ho un grande rispetto della magistratura che è una istituzione”.
A nessuno può sfuggire che Cuffaro, come ha certificato oramai in via definitiva una sentenza, ha favorito l’organizzazione mafiosa e proprio per questo è stato condannato. Quindi, quel rispetto verso le istituzioni di cui nobilmente parla, lo ha almeno per una volta piegato agli interessi economici di un’organizzazione criminale. Ma – come dovrebbe avvenire in qualsiasi Paese normale soggetto a leggi uguali per tutti – è lui stesso, alla fine della sua vicenda politica non certo radiosa, che, pur considerandosi innocente, annuncia di rispettare quella decisione e di sottomettersi a quanto prevede la legge, cui nessuno può sfuggire. Non ha importanza in questa sede se tale comportamento gli sia ispirato dalla sua fede – cui va, come ovvio, il massimo rispetto – fondamentale è il suo approccio al processo. Fondamentale è soprattutto il suo coraggio, il suo mostrare un lato nascosto della sua personalità, l’assenza di timore verso una pena non certo breve, che lo costringerà ad allontanarsi dagli abituali ozii, dalla famiglia, dalla politica.
Basta questo per comprendere la differenza con Silvio Berlusconi, un uomo che ha piegato le sue enormi, quasi infinite ricchezze alla sua causa privata, alla necessità di non farsi giudicare, come tutti, per reati da cui si è da sempre assolto da solo, apportando come prova regina la testa dei suoi figli sui quali ha ripetutamente giurato. Basta questo per esaltare ancora di più il coraggio di Cuffaro e la debolezza del premier, il suo infinito “passo ridotto” rispetto a quello dell’ex governatore siciliano. Un Paese dove personaggi ampiamente compromessi con il lato oscuro del potere come Cuffaro e Andreotti possono dare una “lectio magistralis” all’attuale Capo del governo è, di per sé, un Paese marcio; in una parola, senza speranza.