Il fenomeno della pirateria marittima al largo della Somalia

ROMA – Ancora un colpo portato a segno dai pirati somali. Pirati che da alcuni anni impazzano nello specchio di acqua che comprende il Golfo di Aden, il mare del Corno d’Africa e l’Oceano Indiano. Un mare ormai denominato ‘il mare dei pirati’ e in cui questi moderni filibustieri danno la caccia alle navi mercantili che vi transitano.

Questa volta a cadere nella loro rete è stata una petroliera italiana, la ‘Savina Caylin’ in navigazione dell’Oceano Indiano. La nave è di proprietà di una società armatrice di Napoli, la ‘Fratelli d’Amato Spa Armatori’ con sede in via dei Fiorentini nei pressi di via Medina. I pirati dopo il colpo si sono immediatamente diretti, come consuetudine, verso le coste della Somalia dove hanno sede i loro covi. Da qui poi, di certo stabiliranno un contatto con la società proprietaria nave per chiedere un riscatto. Lo scopo infatti, del sequestrato di una nave e del suo equipaggio è sempre quello di ottenere un riscatto in cambio del loro rilascio. Ad accollarsene il costo sono ovviamente la società armatrice proprietaria della nave o il governo del Paese da cui provengono nave e marittimi. Finora sono centinaia i milioni di dollari versati nelle casse dei pirati somali.

Le somme pagate come riscatto sono state finora: 55 milioni di dollari del 2008, 80 milioni del 2009 e oltre 100 milioni nel 2010. Nel 2011 poi, il trend sembra ancora in salita. Finora, in cambio di uomini e navi catturati, i ‘banditi del mare’ hanno cominciato con il chiedere cifre astronomiche, ma poi si sono sempre accontentati. Però, da un po’ si tempo hanno alzato la posta, e di molto. Sono disposti anche ad attendere mesi e anche ad affrontare estenuanti trattative pur di non rinunciare al bottino. Un bottino che stata però abbondantemente superata quando nel novembre scorso venne pagato un riscatto di nove milioni di dollari. Si tratta di fatto della più alta somma pagata finora per ottenere indietro una nave ed il suo equipaggio.  La somma venne versata ai pirati somali per ottenere il rilascio della petroliera sudcoreana, ‘Samho Dream’. La petroliera era stata catturata nel mese di aprile dello scorso anno nell’Oceano indiano insieme al suo equipaggio composto da 5 sudcoreani e 19 filippini. I pirati somali inizialmente avevano chiesto 20milioni di dollari per rilasciarla. Le trattative sono durate oltre sette mesi alla fine a cedere è stata la compagnia proprietaria della nave e la gang del mare che aveva la nave in ostaggio si è accontentata di soli 9 milioni di dollari.

Milioni che sono solo una piccolissima parte dei centinaia di milioni di dollari versati finora  nelle casse dei pirati somali. Tra i quali gli oltre 4 milioni di dollari pagati nel 2009 dal governo italiano per ottenere il rilascio del rimorchiatore Buccaneer e del suo equipaggi. Nave catturata dai pirati somali l’11 aprile 2009 e rilasciata il 9 agosto dello stesso anno. A bordo 16 marittimi: dieci italiani, 5 rumeni e un croato. Oggi a cadere nelle mani dei pirati somali 22 marittimi membri dell’equipaggio della petroliera. Tra di essi ci sono oltre a 17 indiani anche 5 italiani: tre campani, il comandante, il terzo ufficiale e l’allievo di coperta, e un trentino e un laziale di Gaeta. Anche tra i marittimi del Buccaneer vi erano tre campani. Un fatto questo che avvicina ancor di più i due sequestri.

Un sequestro che è l’ultimo di una lunga serie e che ha visto coinvolte anche unità navali mercantili italiane. Secondo i recenti dati diffusi dall’International Marittime Bureau, IMB, nel 2010 si è registrata una recrudescenza del fenomeno. I pirati somali si sono resi responsabili di almeno 150 attacchi a navi commerciali portandoli a compimento almeno 40. Mentre nel 2011 si sono già registrati almeno 50 assalti a navi in navigazione nel mare dei pirati.

Di questi una decina sono andati a buon fine. Questo nuovo attacco dei pirati somali a largo dell’Oceano Indiano assume un inquietante segnale. Il segnale è che i pirati hanno ripreso appieno la loro attività criminale e non solo, ma hanno allargato ulteriormente il loro raggio d’azione. I pirati infatti, usano alternare momenti di pausa con momenti di grande attività. Questo è dovuto non alla stanchezza, ma a ragioni di opportunità e soprattutto a ragioni climatiche. L’area dove svolgono la loro attività criminale è, per alcuni mesi dell’anno, sconvolta dai monsoni. In questo periodo il mare, con onde altissime, è innavigabile per le loro piccole barche. Però, l’episodio che vede coinvolta la nave italiana dimostra che essi stanno diventando sempre più audaci e aggressivi.

Di recente proprio dall’IMB è giunta un’indicazione in tal senso. L’organismo ha sottolineato il fatto che i pirati somali hanno ampliato il loro raggio d’azione, arrivando fino al Mar Rosso. In seno a questa indicazione, l’IMB ha anche sottolineato quanto sia accresciuta la potenza di fuoco a cui, sempre di più, ricorrono i pirati somali nel corso degli arrembaggi. Armi automatiche e lanciarazzi sono ormai entrati nelle loro dotazioni standard e non si creano problemi nell’usarli. La loro maggiore aggressività li ha portati anche ad azioni eclatanti come l’attacco compiuto lo scorso 8 novembre contro una nave da guerra spagnola. Una nave che operava al largo della Somalia nell’ambito della missione europea anti  pirateria ‘Atalanta’. La nave da guerra era ‘Infanta Cristina’ in servizio di scorta ad un mercantile, il ‘Petra 1’, della missione di pace dell’Unione africana, Ua, in Somalia, AMISOM, in rotta verso Mogadiscio.

La nave scorta ha però, respinto l’assalto mettendo in fuga gli assalitori. Non è stata questa, la prima volta che un’unità da guerra di una missione antipirateria venisse attaccata dai pirati somali. Una dimostrazione questo che, nonostante la comunità internazionale abbia dispiegato nel mare dei pirati un’ingente flotta navale militare, che opera o nell’ambito di una missione internazionale o individualmente, per proteggere gli interessi internazionali o del proprio Paese in quella parte del mondo, i predoni del mar non sono per nulla impensieriti. Le contromisure anti pirateria vennero adottate per la prima volta nel giugno 2008 da parte della NATO, a cui fece seguito quella, nel dicembre dello stesso anno, da parte dell’Unione europea. In seguito, negli anni successivi, anche altri Paesi hanno inviato le loro navi da guerra a pattugliare il mare infestato dai moderni filibustieri. Tra questi la Corea del Sud, la Cina, l’India, la Russia, l’Egitto, l’Iran, l’Australia e tanti altri. Tutto questo però, sembra non bastare a fermare le tante ‘gang del mare’ che spadroneggiano in lungo e in largo nel mare del Corno d’Africa e Oceano Indiano. I dati lo dimostrano. I pirati somali, negli ultimi mesi hanno sequestrato, trattenendoli come ostaggi, oltre cento marittimi equipaggi di almeno una dozzina di navi catturate nel ‘mare dei pirati’. Nelle mani dei pirati somali vi dovrebbero essere, tenuti in ostaggio, almeno 30 navi e oltre 500 marinai, equipaggi di queste navi. Un dato preciso non è disponibile. Li trattengono in attesa che qualcuno paghi un riscatto per la loro liberazione. In caso contrario sono disposti anche a tenerseli per anni interi. Alcuni di queste navi e uomini sono infatti, trattenuti come ostaggi anche da quasi due anni. La gran parte dei marittimi catturati dai moderni filibustieri sono di diverse nazionalità come ucraina, egiziana, filippina, cinese, indiana, tunisina, turca e altri Paesi ancora. Inoltre tra essi vi sono anche delle donne e dei minori. Nel frattempo, oltre alle forze coalizzate dei Paesi occidentali, suddivise in diverse missioni anti pirati somali, si registra anche la mobilitazione dei Paesi africani.

L’organismo panafricano dell’Unione Africana, Ua, ha infatti, annunciato la creazione di una task force intercontinentale per ripulire i mari africani dai pirati somali. Questo perché anche in altri mari, oltre al largo della Somalia, si registrano atti di pirateria specie nella acque del Golfo di Guinea, di fronte alle coste nigeriane, di Capo Verde e della Guinea Equatoriale. Azioni che stanno minando la già fragile economia dei Paesi africani che si affacciano su queste acque. Le cifre legate al fenomeno della pirateria marittima al largo della Somalia sono allarmanti. Lo scorso 9 novembre dall’ONU vennero indicata addirittura come spaventose. Ad affermarlo il sottosegretario generale per gli affari politici all’ONU, Lynn Pascoe leggendo, davanti al Consiglio di sicurezza del Palazzo di Vetro, una relazione in merito. Secondo i dati resi noti dall’Organizzazione marittima internazionale, Imo. Pascoe,  nel suo discorso ha anche affermato: “La pirateria è un pericolo la cui ampiezza supera gli sforzi della comunità internazionale per arginarlo. Le forze navali internazionali al largo delle coste della Somalia hanno tuttavia sventato più operazioni di pirateria che mai in precedenza”. Per Pascoe inoltre: “la lotta contro la pirateria esiga un’azione simultanea su tre fronti: dissuasione, sicurezza e applicazione della legge, sviluppo”. “La dissuasione esige anche che coloro che sono ritenuti colpevoli di pirateria e di furto a mano armata siano processati”, ha affermato il funzionario della Nazioni Unite.

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