Berlusconi nel gorgo politico. Lui mostra sicurezza ma ha buchi da tutte le parti

ROMA – Lo stato di profonda crisi personale e politica in cui versa Silvio Berlusconi si è disegnata sull’ovale di un nervoso Fabrizio Cicchitto ieri sera a “Ballarò”. Il viso teso, per quanto a volte sorridente, le labbra tremolanti, ha ripetuto per tutta la puntata il mantra della “magistratura politicizzata dal 1994” come il batacchio di una campana, le stesse sillabe, ripetute allo sfinimento. A supportarlo (si fa per dire) Anna Maria Bernini, sempre più afona, con gli occhioni stupiti, bofonchiante e protestataria, anche lei rapita dal mantra “Stiamo facendo un processo mediatico, stiamo facendo un processo mediatico”.

I gerarchi di partito rischiano, oltre che perdere poltrone e prebende, anche di finire stritolati nella memoria collettiva come macchine umane, anzi macchinette: metti dentro un gettone e loro gesticolano e farfugliano a comando, così come sono stati programmati.

La finta sicurezza berlusconiana

La strategia adesso è quella di fare finta di niente pur annaspando fra le tonnellate di titoli e foto in prima pagina sui giornali e sui siti di tutto il mondo e di dare battaglia in tutti i modi. Ma certo, gli argomenti oramai appaiono così bisunti e logori, di fronte alla forza dirompente dei fatti, che si fa fatica a percepire qualcosa di più di un rantolio sommesso e annunciatore di un coma irreversibile. Alla conferenza stampa di Palazzo Chigi, questa mattina, il premier è apparso sicuro di sé e battagliero. Ha voluto parlare solamente di economia, era lì per questo. Tanto che, ad una domanda sul caso Ruby, ha risposto “Senti birichino, lascia perdere, allora non ci siamo capiti, vi ho chiesto di fare domande in tema”. L’obbligo di non fare domande sulle vicende puttanesche del premier è stato ribadito anche da un sornione Tremonti: “Siamo disponibili a stare chiusi qui anche tre ore, ma per parlare di economia”.

Una situazione surreale

Ed anche questo atteggiamento tetragono all’argomento di cui tutto il mondo riferisce spiega meglio di qualsiasi altra cosa il baratro in cui è oramai sprofondato il magnate di Arcore. Ma ben difficilmente il silenzio è in grado ora di aiutarlo in una vicenda giudiziaria che si prospetta forse risolutiva per la sua carriera di premier. Soprattutto quando anche le vicende economiche del Paese che governa sono tutt’altro che commendevoli. Lo nota giustamente Antonio Borghesi, vice capogruppo alla Camera dell’Idv, quando sottolinea come Berlusconi – che oggi ha addebitato alla eredità trascorsa del pesante debito pubblico le difficoltà del Governo –  si dovrebbe rendere conto che “la situazione di cui parla oggi era identica anche nel 94, quando lui stesso ha iniziato a governare ed anche dieci anni fa, quando è ritornato alla guida del Paese. Tutto questo, in pratica, ammesso oggi dallo stesso presidente del Consiglio, è la prova del suo fallimento”. In altre parole: con chi prendersela se è stato al governo per nove anni ed è dunque il primo responsabile del disastro dei conti pubblici? La sua resistenza ad oltranza, nonostante la prospettiva di un processo foriero di pesanti, forse insopportabili ricadute sociali sull’intero Paese, lo spinge ad adottare, come sottolinea Bobo Craxi, la “disastrosa tattica del presidente egiziano Mubarak: difendersi e resistere a ogni costo, coinvolgendo il Paese nelle sue vicende rocambolesche”.

Prepariamoci al peggio

La sensazione che si ha oggi è che, in realtà, sia passato un giorno di piatta quiete soltanto in attesa della prossima tempesta. La falsa serenità del Caimano annuncia sfracelli dirompenti, capaci di produrre una forza di impatto che forse il corpo sociale non è in grado di metabolizzare. Lui spergiura che la sua maggioranza arriverà addirittura a 325 deputati alla Camera, un vero e proprio raffazzonato caleidoscopio al cui confronto la maggioranza “arcobaleno” dell’Ulivo sembra una monocromatica foto d’epoca. Ma, in realtà, come nota oggi Walter Veltroni, si tratta di un vivacchiare “ostaggi di un presidente del Consiglio disinteressato anche alla sua parte politica”. Bossi, per ora, giura di sostenerlo a spada tratta. Ma dopo l’approvazione dei decreti sul federalismo nulla sarà più come prima.

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