ATENE – Si va verso il rimpasto di governo. Questo quanto emerge dalla crisi di Governo che si sta riaffacciando Grecia. Il Governo ellenico è in piena crisi dopo che i ministri dell’esecutivo targati Dimar, la sinistra democratica, e i 14 parlamentari hanno deciso di abbandonare l’alleanza tripartitica che da un anno compone e sostiene il Governo Samaras. Determinante per la scissione è la questione Ert, la tv di stato greca, prima chiusa per volere solo del primo ministro Antonis Samaras e di Nea Democratia, poi riaperta ma solo dal punto di vista tecnico-giuridico da una sentenza della Corte di Giustizia di riaprire la tv di stato greca. Una decisione che aveva trovato il consenso da parte dei 2700 impiegati e delle folle scelte in piazza per manifestare contro la chiusura, ma che negli effetti ancora non ha trovato attuazione, visto che il segnale è ancora assente. E’ proprio su come ricostituire il servizio televisivo pubblico la maggioranza è collassata.
Il colpo di forbice sulla Ert aveva nei giorni scorsi scosso la maggioranza in seno al Megaro Maximou, la sede del governo. Il Pasok e Dimar da una parte e il Nd, il partito del premier dall’altra. Un Samaras contro tutti che non aveva portato a nessun compromesso politico. Ieri sera l’ultimo scossone, figlio di tensioni che minato le fondamenta del Governo. Evanghelos Venizelos, leader del Pasok ha annunciato che continuerà a sostenere la maggioranza, mentre Fotis Kouvelis, leader di Dimar, annunciava l’uscita dal governo. Ipotesi confermata stamane a seguito dei continui summit tra la maggioranza.
“La creazione di una nuova radiotelevisione greca deve avvenire con Ert aperta, e in presenza di tutti i salariati. L’interruzione violenta delle frequenze di Ert è un problema di legittimità democratica” era stato il commento finale di Kouvelis. Più rassicurante il leader Pasok: “Il Paese ha bisogno di stabilità – ha detto Venizelos – e occorre mettere da parte la questione della Ert e discutere di problemi più seri come quello dell’aggiornamento dell’accordo programmatico fra i partiti che compongono il governo”.
A ben vedere si tratta di un problema anche di numeri. Un’alleanza a due teste tra Nea Democratia e il partito Socialista ha sì una maggioranza, ma solo di di unità rispetto ai 151 deputati necessari per superare la soglia di maggioranza dei 300 parlamentari greci. Di cui 125 deputati facenti capo al partito di Samaras e 28 a Venizelos. In questo scenario si comprende come i 14 di Dimar fossero determinanti, anche agli occhi dei mercati internazionali, della Troika, che chiede riforme lacrime e sangue per lo sblocco degli aiuti necessari per il pagamento degli stipendi pubblici e delle pensioni, e delle altre cancellerie europee, che seguono con interesse i risvolti politici all’ombra del Partenone. Sono escluse nuove elezioni, anche perchè dopo il doppio tentativo dello scorso anno che portò all’attuale grande coalizione, la situazione non è migliorata. Almeno secondo i sondaggi.
Un appello al “senso di responsabilità ” è piombato sulla Grecia anche dal commissario Ue agli affari economici Olli Rehn, che ha invitato Atene a ritrovare la stabilità necessaria nell’attuale situazione politica per mettere in atto quelle riforme indispensabili al programma di sostegno internazionale. Alla notizia della conferma dell’uscita di Dimar dall’esecutivo, il ministro delle finanze Yannis Stournaras lasciava precipitosamente Lussemburgo e i lavori dell’Eurogruppo.
Come se non bastassero le nubi interne provenienti da Atene, dubbi sul futuro si stanno addensando dal Fondo Monetario Interanzionale, che assieme alla Commissione Europea e alla Banca Centrale Europea formano il trittico della Troika. In particolare, l’organismo presieduto dall francese Christine Lagarde, ha minacciato la chiusura dei rubinetti degli aiuti finanziari se i partner europei non colmeranno il buco degli aiuti a favore di Atene entro luglio. In ballo 4 miliardi, su cui però il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem ha negato la mancanza. Se ne saprà di più i prossimi giorni.
La suggestione è che la questione della crisi greca rischi seriamente di surriscaldare di nuovo, sullo stile di quanto avvenuto l’anno passato, la tenuta dell’Eurozona. Con speculazioni finanziarie pronte a far di nuovo capolino anche su Spagna e Italia. Compromettendo la capacità di auto-finanziarsi e la situazione debitoria dei due paesi sudeuropei. Anche se, va detto, rispetto a 12 mesi fa i meccanismi di stabilità voluti da Draghi e dalla Bce, il cosiddetto Bazooka anti-spread, sarebbe pronto ad acquisire i titoli di stato dei paesi più in difficoltà e a calmierare i tassi di interesse dei paesi più in crisi.