Libia. Il rais usa il ricatto del terrorismo. La Nato lancia l’ultimatum

ROMA – C’è un grosso interrogativo su quale sia esattamente la situazione in Libia.

Che si stia consumando una vera e propria guerra civile ormai è cosa risaputa, ma le notizie che giungono dallo stato africano sono tanto fumose quanto contraddittorie e questo non è un buon segnale. Di certo stanno continuando i combattimenti tra le forze d’opposizione anti regime e il fedele esercito di mercenari guidato da Muammar Gheddafi, che dal suo bunker nella capitale si proclama ancora la voce del popolo. E non solo. Dalle prime accuse del rais contro le fantomatiche cellule dormienti di Al Qaida colpevoli di aver drogato con delle pastiglie allucinogene i rivoltosi che ora chiedono la libertà, alle minacce all’occidente su una probabile invasione massiccia di libici in occidente, il Colonnello sta sprofondando giorno dopo giorno nel suo delirio di onnipotenza. Basta leggere l’intervista pubblicata sul quotidiano francese  Journal du Dimanche  in cui il leader libico nega addirittura di aver sparato contro il suo popolo, nonostante le immagini mandate in onda quest’oggi  dalla televisione araba Al Jazeera confermino esattamente l’opposto. Definisce il congelamento dei suoi beni all’estero come un atto di pirateria da parte delle potenze occidentali e punta il dito contro l’Onu indicandolo come un’organizzazione incompetente per giudicare gli affari interni del suo paese.
Nel frattempo l’esercito governativo avanza nelle città passate in mano ai ribelli per riconquistare il territorio perduto. Si combatte a Misurata, a Brega, a Uquila e a Ras Lanuf , teatro oggi di una serie di bombardamenti  dei caccia libici.
Le forze di opposizione sembrano un’armata brancaleone. Soldati improvvisati, che abbiamo visto nelle immagini televisive giunte dal fronte più avanzato, alzare la mano in segno di vittoria   –  molti dei quali prima d’ora non avevano mai preso un’arma in mano – nell’estremo tentativo di bloccare l’avanzata violenta delle brigate del rais e rovesciare il regime di Gheddafi. Il dittatore libico dal canto suo vuole tenere stretto il suo potere usando il ricatto. “Questa guerra – ha detto – non è affatto contro la mia gente, bensì  contro i soliti terroristi di Al Qaeda” – che guarda caso, adesso hanno il loro quartier generale a Bengasi, la città che le sue truppe vogliono riconquistare.
Insomma  la costa libica si è trasformata in un campo di battaglia a cielo aperto.  

Anche sulle vittime provocate dagli scontri le notizie sono alquanto contrastanti. Le due fazioni spesso per non dare soddisfazione all’avversario minimizzano sull’esatto numero dei morti e la propaganda di regime punta ad enfatizzare una situazione di apparente tranquillità. Tuttavia le organizzazioni umanitarie parlano di una situazione preoccupante, di un drammatico genocidio con centinaia di morti,  tanto che ieri l’hanno definito molto peggio della strage cinese di Tienamen.

Il monito del  segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, che ha chiesto stamane al regime libico la fine degli attacchi “indiscriminati” contro i civili e ha avvertito che ogni violazione del diritto internazionale sarà portata dinanzi alla giustizia, per ora è rimasto inascoltato, come lo sono le condanne unanimi espresse contro la politica repressiva del colonnello. Intanto in questo delicatissimo contesto gli americani prendono tempo, sanno perfettamente del rischio destabilizzante che produrrebbe un intervento militare. Oggi Anders Fogh Rasmussen, segretario generale della Nato, ha dichiarato che per adesso non c’è nessuna intenzione di intervenire con la forza. Questo mandato spetta al Consiglio di sicurezza dell’Onu  a partire dalla possibilità di creare una “No fly zone” sulla Libia, ha ricordato Rasmussen. Ma poi ha aggiunto: “Il nostro lavoro è quello di pianificare ogni eventualità. Se Gheddafi e il suo regime continueranno ad attaccare sistematicamente la popolazione civile, non posso immaginare che la comunità internazionale e l’Onu rimangano a guardare”.

 

Tuttavia sembra che lo spauracchio del terrorismo tanto decantato da Gheddafi stia facendo il suo effetto, incutendo la paura che la Libia possa trasfomarsi nel nuovo Afghanistan, tutto nelle mani di presunti terroristi pronti ad usare le armi di distruzione di massa. Eppure sembra che tutti abbiano dimenticato Abdelbaset al Megrahi, l’autore della  strage di Lockerbie dove morirono 270 persone, rientrato in Libia dopo una lunga detenzione nelle carceri scozzesi e accolto dallo stesso Gheddafi come un eroe della patria. Ma allora chi sono i veri terroristi.

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Alessandro Ambrosin

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