Libia. Gheddafi tenta un negoziato con i rivoltosi. Ma del rais nessuno si fida

ROMA – L’uscita imminente di Muammar Gheddafi in cambio di garanzie sull’ incolumità sua e dei suoi familiari, del  patrimonio economico a lui intestato e con l’assicurazione di non finire davanti a un tribunale internazionale, sembra trovare conferme.

Un’eventualità avvalorata anche dal discorso pronunciato, sempre alla tivù libica, da  Jadallah Azouz al Talhi, l’ex primo ministro, il quale  rivolgendosi  ai ribelli, e in particolare al Consiglio degli insorti di Bengasi, sta tentando di aprire un dialogo per risolvere la crisi.
Il Colonnello sembra deciso di percorrere questa strada, tant’è che ha inviato l’ex ministro nella roccaforte dei ribelli per trattare un accordo con il cugino Mustafa Abdel Jalil, ex ministro della Difesa passato al comando nelle fila dei rivoltosi. Accordo nel quale i rivoltosi dovranno permettere a Gheddafi di  lasciare il paese.

“Se Muammar Gheddafi lascia il potere potremmo decidere di non perseguirlo a livello internazionale” sarebbe la condizione di Mustafa Abdel, anche se tale decisione spetta alla Corte Internazionale per i crimini contro l’umanità. Così alla fine la resa di Gheddafi non è stata accettata, in quanto mancano quegli elementi di fiducia nei confronti del mediatore.
“Vogliamo prima le dimissioni di  Gheddafi e solo dopo possiamo trattare” ha precisato  sempre Mustafa Abdel Jalil. E poi: “Non negoziamo con qualcuno che ha versato il sangue libico e continua a farlo. Perchè noi dovremmo avere fiducia oggi?”

D’altra parte questa mossa tattica  di fatto potrebbe sì prevedere l’uscita di Gheddafi, ma con tutti gli onori del caso. Un’ipotesi che i ribelli non accetteranno mai, perchè rappresenterebbe un insulto per tutte quelle persone uccise dal regime del dittatore libico. Come i tanti soldati  giustiziati per essersi rifiutati di aprire il fuoco contro la propria gente, come ha ben documentato un video trasmesso dalla televisione araba di Al Jazeera, confermato dalle testimonianze di coloro che sono riusciti a scampare alle esecuzioni, in cui soldati con i piedi legati venivano freddati con un colpo alla nuca.

Nel frattempo le brigate di Gheddafi continuano a colpire indiscriminatamente le postazioni dei ribelli e spesso a farne le spese sono i civili. A Ras Lanuf, dove si trova il centro petrolifero più importante della Cirenaica  continua anche oggi la pioggia di bombe sganciate dai raid aerei.
Ieri è stato addirittura colpito un pick-up con a bordo  donne e bambini.  A Sirte, invece, città natale del leader libico le truppe governative stanno minando la zona che circonda la città e i giacimenti di petrolio di quell’area. Insomma Gheddafi tenta un accordo, ma i suoi fedeli non fanno tacere le armi. Sarebbe stato credibile se avesse fermato prima i bombardamenti, se le sue dimissioni fossero state ufficializzate. Ma è evidente che il dittatore prende tempo e come aveva annunciato nella sua ultima apparizione l’intenzione è quella di restare nel suo paese, ben aggrappato a quel potere che solo lui detiene.

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