Lavoro, le ‘osservazioni’ di Cesare Damiano e Pierre Carniti
Le proposte di Renzi sull’occupazione hanno acceso un grande dibattito nell’area del partito democratico, e nel campo riformista, sull’eventualità della loro realizzazione e commisurazione. Lasciando per un momento da parte il discorso ideologico sull’articolo 18, è necessario entrare nell’ottica pratica delle proposte del nuovo segretario. In un articolo pubblicato su l’Unità di oggi, Cesare Damiano, parlamentare del Pd, si dice d’accordo sulle premesse del cosiddetto Job Act, se non in alcuni punti. Innanzitutto, Damiano scrive che la proposta di Renzi sul contratto di inserimento triennale, senza la copertura dell’articolo 18, è simile ad un’altra proposta già presentata dal Pd nella precedente legislatura. Si tratta del Cuig (Contratto unico di inserimento formativo), basato su criteri assai simili a quelli renziani, e prevede cioè un primo inserimento a tempo determinato, di durata variabile da sei mesi a tre anni, a cui segue l’assunzione a tempo indeterminato. Se si rimanesse su queste basi, l’idea di Renzi sarebbe soddisfacente. Semmai, la preoccupazione primaria di Damiano è rivolta all’obiettivo di archiviare il contratto unico di Pietro Ichino. Il giuslavorista eletto nelle lieste del partito democratico, per poi abbandonarlo per altri lidi. Damiano si dice d’accordo anche sull’estensione delle tutele sociali ai lavoratori flessibili, con priorità rivolta alle tutele previdenziali. Secco no invece alla cancellazione della cassa integrazione. Infine, Damiano sostiene la proposta di potenziare i centri per l’impiego, con un occhio al funzionamento di quelli tedeschi. Tuttavia, la discussione sulle criticità del mondo del lavoro ha favorito anche il diffondersi di analisi diverse. Secondo l’ex Segretario Generale della Cisl, Pierre Carniti, stando al suo articolo pubblicato anch’esso nell’edizione odierna de L’Unità, per creare occupazione è necessario ridurre gli orari e ripartire il lavoro “tra tutti quelli che vorrebbero lavorare”. Una soluzione ben diversa da quella avanzata, anche se in forma embrionale, dal nuovo segretario del Pd Matteo Renzi. Nel corso del suo articolo Carniti prova a dimostrare l’obiettività della sua tesi, partendo da presupposti storici: “Siamo partiti da orari di 72 ore settimanali, cioè 12 ore al giorno per sei giorni. Mentre ora siamo arrivati all’incirca alla metà”. E in base a questa linea la ricchezza globale (e anche individuale) è aumentata. Per tradurre in termini concreti tale strategia, si rendono necessari accordi tra le parti sociali “di durata definita e rinnovabili, in base alle esigenze ed alla situazione del lavoro”. La legge per la quale si incentivano le ore di lavoro straordinario, dunque, poggia su basi fuorvianti. Naturalmente, non è indispensabile solamente determinare strategie destinate all’aumento dell’occupazione. Priorità resta, in ogni caso, la lotta alla disoccupazione. Carniti indica come soluzione il ricorrere sempre più ai “contratti di solidarietà”, stipulati tra azienda e rappresentanze sociali, con l’obiettivo mirato di diminuire l’orario di lavoro, mantenendo l’occupazione anche in caso di crisi aziendale. Carniti termina il suo articolo spiegando che le difficoltà attuative di questa o di altre strategie non risiedono sulle loro eventuali intrinseche debolezze, ma sulla cultura mentale del presente, forse poco elastica e poco incline a cambiamenti radicali.