P4. Ancora un rinvio per l’onorevole Papa. Altro che “fumus persecutionis”

ROMA – Inutile illudersi. Quando un deputato è indagato e le manette pronte per essere indossate ai polsi, come un bel Rolex, si fa di tutto pur di salvarlo dall’ingiusto destino.

Altro che “La legge è uguale per tutti”. Oggi la Giunta per le Autorizzazioni della Camera ha nuovamente rinviato a mercoledì 6 luglio la decisione di procedere o meno all’arresto nei confronti di Alfonso Papa, il deputato nonchè ex magistrato, accusato di essere uno degli uomini chiave nell’inchiesta P4. Una freccia in sua difesa è stata lanciata oggi dal deputato del Pdl  Francesco Paolo Sisto che nel suo rapporto ha sostenuto la tesi di “fumus persecutionis”. Insomma nei confronti del suo collega di partito ci  sarebbero stati pedinamenti, intercettazioni, foto e quant’altro. “Dobbiamo tenere conto – ha detto – di questi parametri, molto gravi,  e del fatto che le esigenze cautelari non sono calibrate”. Resta solo la speranza che la votazione per l’autorizzazione sia manifestata a scrutinio palese e non segreto, in modo che ognuno possa giustificare la sua scelta e farsi carico delle responsabilità, soprattutto di fronte ai cittadini che stanno seguendo l’evolversi di questa incresciosa vicenda con estremo interesse.

C’è da dire che quanto emerso finora sulla P4 lascia poco spazio a libere e brillanti interpretazioni di comodo. I reati ci sono, come è presente una cricca di faccendieri che con ogni probabilità è stata sempre ben radicata dentro gli ambienti  politici e finanziari. O meglio i palazzi del potere dove si decide la sorte dell’Italia e degli italiani. Tuttavia il condizionale è d’obbligo, almeno per il Cocer, ovvero il Consiglio centrale di rappresentanza  della Guardia di Finanza, il quale si è richiamato al principio di non colpevolezza fino all’accertamento definitivo  e per questo motivo  ha chiesto alla magistratura di fare al più presto chiarezza sull’inquietante vicenda.
“Con preoccupazione sono state apprese le notizie riguardanti fatti e circostanze le quali, – riporta una nota del Cocer – al di là della loro eventuale rilevanza penale, delineano uno scenario che, per il bene del nostro Paese, deve essere chiarito, nelle sedi istituzionali competenti, in tempi rapidi e con tutta la serietà che la situazione richiede”.

Indubbio che le notizie diffuse finora abbiano alimentato questo stato di  preoccupazione, misto alla confusione delle troppe trame legate tra loro. I dialoghi delle intercettazioni, per molti ritenuti un’accanimento diretto ad alcuni  personaggi di rilievo, diventano importanti per ricostruire questa fitta rete opaca fatta di connivenze e piaceri particolari che tenta di sfuggire all’attenzione pubblica per uscire indenne dal giudizio popolare.  Non dimentichiamo che per TRansparency International siamo sempre il 67mo paese più corrotto al mondo e che prima di noi c’è addirittura il Rwanda. Non c’è molto da sorridere, direbbero in molti,quando emergono le complicità di legami non proprio trasparenti.
Per questo motivo il governo sta già architettando un nuovo piano per mettere fuori gioco le temute intercettazioni che fanno intravedere una realtà ben diversa da quella immaginata. Un decreto per vietarle è l’unica scappatoia in questo clima di basso regime, nonostante dovrebbe sussistere la necessità e l’urgenza, unico requisito che la stessa Carta Costituzionale prevede in maniera esplicita. La verità è che siamo allo sfilacciamento morale di una stagione politica giunta alla fine. E questa inchiesta pesa come un macigno sull’immagine che questo Paese offre fuori dai propri confini, perchè chi è dentro sa benissimo che risollevarsi da queste macerie non sarà cosa facile. Anzi.

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