Il caimano digrigna i denti. I suoi manipoli si apprestano al bivacco parlamentare

Il magnate di Arcore riceve oggi le dimissioni dal governo dei finiani, sui quali piove l’artiglieria dei pasdaran berlusconiani. Straquadanio: “Senza di lui, noi non siamo niente”

ROMA – Schiumosi di rabbia, Berlusconi e i suoi pasdaran oggi ricevono la lettera di dimissioni della truppa dei finiani dal governo. Si compie così l’atto ufficiale che sancisce la crisi della maggioranza berlusconiana. Naturalmente, i commenti sono molto simili a quelli che esprimevano i fascisti mussoliniani nella notte fra il 25 e il 26 luglio 1943, contro coloro che avevano firmato l’ordine del giorno di Dino Grandi, che prevedeva l’attribuzione al re del comando delle forze armate e quindi la conduzione della disastrosa guerra al fianco di Hitler: “traditori”. Nelle loro parole c’è molta violenza, molto fascismo, oramai nemmeno più nascosto.

La situazione del “partito” berlusconiano è fotografata oggi benissimo da un’intervista a Giorgio Straquadanio, 51 anni, fondatore del quotidiano on line “Il Predellino”, molosso da guardia dell’ortodossia komeinista del magnate di Arcore. “Il Pdl altro non è che una protesi del Cavaliere. Senza di lui il partito non esisterebbe. Tutti noi parlamentari non esisteremmo. Nessuno può pensare di esistere senza di lui”. Esattamente come successe ad Achille Starace, Alessandro Pavolini ed altri scherani dell’ultimo fascismo repubblichino. È impressionante la somiglianza di questi personaggi a quelli che portarono l’Italia al disastro nel biennio 1943-45 (Berlusconi ha preso le distanze dal pensiero straquadaniano, pur facendo riferimento soltanto ad alcuni giudizi su ministri e ministre).

Il rigore e la correttezza del Governo Prodi

In questo contesto di furori antidemocratici, il premier si consente di sostituirsi al Presidente della Repubblica, annunciando ai suoi manipoli, schierati sull’attenti nel corso della telefonata durante la Convention milanese del Pdl-Pnf, di aver deciso lo scioglimento di una sola Camera, quella dei deputati, perché al senato ha già una maggioranza. Sembra incredibile, ma non stiamo esagerando. Tanto che lo stesso Quirinale, con la freddezza molto “British” che contraddistingue il suo inquilino, ha dovuto precisare che è proprio in quelle stanze che può decidersi lo scioglimento delle Camere, a mente dell’articolo 88 della Costituzione. Inutile aggiungere che la maggior parte dei costituzionalisti si sono già espressi sulla possibilità di indire elezioni anticipate soltanto per un ramo del Parlamento, giudicandola come un’ipotesi inammissibile. E l’esempio del Governo Prodi nel 2008 – dileggiato dai fascisti berlusconiani ma che appare sempre di più come monumentale rispetto alla pochezza del berlusconismo – è illuminante: pur avendo avuto la fiducia alla Camera dei deputati, si dimise dopo la sfiducia al Senato (quella che provocò le nauseanti reazioni di “onorevoli” quali Strano e Granazio, che si ingozzarono di mortadella e stapparono lo spumante).

I finiani abbandonano al suo destino il caimano

Oramai Fini e il suo nuovo partito avevano tratto il dado, annunciando l’uscita dalla maggioranza. Oggi il loro leader, Gianfranco Fini, aggiunge ancora qualche tratto di nobiltà alla sua battaglia politica per le libertà civili. Intervenendo alla presentazione del rapporto “L’Italia che c’è” dell’associazione di Luciano Violante, ha significativamente affermato che “tra le responsabilità della classe dirigente c’è anche quello di aver smarrito quel senso della dignità, della responsabilità e del dovere che dovrebbero essere proprie di chi è chiamato a ricoprire cariche pubbliche. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore, come prevede un articolo della Costituzione che è tra i meno citati e conosciuti”. Alla fine dell’incontro, Napolitano e il sottosegretario Gianni Letta si sono fermati a colloqui con il Presidente della Camera.

La lotta delle mozioni di sfiducia

Una mossa disperata, quella del caimano: con una trovata che reputa forse intelligente, vuole imporre la primazia del Senato nella discussione sulla mozione di sfiducia. Oggi il capogruppo dei democratici alla Camera dei deputati ha reso nota una lettera inviata a Fini, nella quale si fa presente la necessità di “difendere nell’esercizio della sua funzione, il diritto costituzionalmente garantito ai firmatari della mozione di sfiducia di portare al voto prima e non successivamente ad un voto di fiducia chiesto dal governo al Senato al solo fine di sottrarsi al voto della Camera dei Deputati”.

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