L’ossessione tutta italiana dei tagli alle pensioni e gli strani silenzi sul Metodo Contributivo

ROMA – Potrebbe essere una nuova patologia, una forma di rifiuto e di non accettazione del passare del tempo e dell’invecchiare, fatto sta che l’ossessione monotematica che da quasi vent’anni coglie chiunque occupi una qualsiasi poltrona in Italia solleva qualche interrogativo.

Il taglio delle pensioni, seppur sempre travestito da riforma e motivato dalla difficile sostenibilità del sistema preesistente, è divenuto ormai un mantra, un ritornello ossessivo che si ripete senza più attivare alcuna capacità critica sull’argomento.
Anche la Ministra Fornero si sta già spendendo molto per favorire una riforma che come al solito liberi risorse, garantisca il futuro e abbia una maggiore equità tra le generazioni, ovvero tagli le pensioni.
La soluzione annunciata dalla neoministra è quella del passaggio al contributivo pro rata per tutti, a partire dal prossimo mese di gennaio e dalla modifica delle normative relative alla pensione di anzianità.
Per quanto riguarda il metodo di calcolo dell’assegno di pensione a questo punto potremmo chiudere la faccenda con due righe, spiegando come le pensioni calcolate con il sistema contributivo siano più basse perché è proprio il sistema contributivo che è meno generoso rispetto al sistema retributivo e altre ovvietà del genere.
Ma la dura realtà è decisamente più complicata, i due mondi che si contrappongono, quello retributivo e quello contributivo, sono in realtà solo delle differenti modalità di calcolo.
Se una modalità sia più o meno vantaggiosa dipende da ciò che “si mette dentro” al meccanismo di computo, non è l’etichetta che è appiccicata sulla macchina che ci dirà come sarà la nostra pensione ma gli ingranaggi ed i meccanismi che la fanno funzionare che rendono uno o l’altro sistema più o meno vantaggioso.
Limitarsi all’etichetta, allo sterile dibattito contributivo-retributivo, è stato uno dei mezzi principali con i quali si è distolta l’attenzione dai contenuti; se però facciamo uno sforzo e vediamo dentro la macchina pensionistica italiana scopriamo che è pura follia pensare che le pensioni italiane che vengono maturate oggi siano troppo costose per il Paese; mentre il medesimo discorso potrebbe non valere per alcune delle pensioni erogate oggi.

Contributi, quanti soldi sono?

Sul conto di ciascun lavoratore italiano con un contratto a tempo indeterminato vengono effettuati versamenti per contributi pensionistici pari al 33 per cento della retribuzione lorda.
Per i lavoratori tedeschi vengono versati contributi nella misura di appena il 19,90 per cento della retribuzione lorda.
Qualche numero per sottolineare questa abissale differenza tra i contributi italiani e tedeschi e ciò che essa comporta.
Un lavoratore tedesco che percepisce 30.000 euro annui netti di stipendio avrà versamenti per circa 11.000 euro annui, un lavoratore italiano con gli stessi 30.000 euro annui di stipendio avrà versamenti per circa 18.500 euro annui.
Questi due lavoratori avranno versato, dopo 40 di attività, 440.000 euro se lavoratori tedeschi e 740.00 euro se lavoratori italiani. I 300.000 euro in più di contributi versati dagli italiani sono molto più che sufficienti per un anticipo del pensionamento, per una pensione degna di questo nome e anche per finanziare lo Stato. Perché nessuno dei nostri rappresentanti segnala questa differenza?

Contributi. Come vengono rivalutati?

Le somme versate da lavoratori e datori di lavoro vengono rivalutate anno dopo anno ad un certo tasso. Nel 2011, per la prima volta da quando è entrata in vigore la Riforma Dini, i contributi verranno rivalutati ad un tasso inferiore a quello dell’inflazione, i contributi versati l’anno scorso verranno infatti rivalutati di circa il 2 per cento a fronte di un’inflazione che farà segnare circa il 3.
Ciò dipende dallo strambissimo indice cui è stato ancorato il rendimento delle contribuzioni versate all’Inps. Ogni anno, infatti, i contributi vengono rivalutati  ad un tasso annuo di capitalizzazione che è dato dalla variazione media quinquennale del prodotto interno lordo (PIL) nominale, con riferimento al quinquennio precedente l’anno da rivalutare.
Se ipotizziamo che i 18.500 euro accantonati dal lavoratore dell’esempio precedente vengano rivalutati per 40 anni ad un tasso del 2 per cento annuo essi contribuiranno alla determinazione dell’entità della pensione per un importo pari a circa 41.000 euro, se gli stessi contributi venissero rivalutati per gli stessi 40 anni al tasso di rendimento attuale del Btp, al 7 per cento annuo, essi toccherebbero il ragguardevole livello di circa 277.000 euro, una somma ben nove volte superiore. Da cui discenderebbe un assegno di pensione nettamente superiore.

Ma la pensione come si calcola?

Una volta rivalutati tutti i contributi questi vengono trasformati in assegno di pensione applicando un coefficiente previsto dalla norma stessa. Questi coefficienti sono legati a due variabili, una di cui si continua a parlare,  l’aspettativa di vita, mentre l’altra sembra essere del tutto sconosciuta ai più, il tasso di sconto, anche se su rendite di durata piuttosto lunga l’entità dell’assegno è influenzato più dal tasso di sconto che dalla durata, ovvero dal numero di anni di pensionamento di cui gode il lavoratore..
In maniera apparentemente del tutto inspiegabile, anche se chi vi scrive ebbe un giorno la sfortuna di avere una spiegazione al riguardo, le tabelle di conversione scontano infatti un tasso pari ad appena l’1,5 per cento annuo. Se solo si riuscisse a ottenere un tasso di sconto equo sui montanti contributivi individuali le pensioni italiane sarebbero decisamente più alte.

E adesso?

L’unico modo per smascherare certi trucchetti è comprenderne i meccanismi. Solo comprendendo appieno il meccanismo di calcolo delle pensioni col metodo contributivo ci si può rendere conto che le riforme sono certamente necessarie ma nel senso diametralmente opposto a quelle di cui si discute oggi. Bisogna abbassare la contribuzione complessiva, rendere eque le rivalutazioni dei contributi e la loro trasformazione in assegni pensionistici e liberalizzare, entro certi limiti, l’età di pensionamento, solo così si interromperà questa rapina quotidiana ai lavoratoti, ai loro contributi e alle loro pensioni.

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