Vladimir Putin. L’oscuro zar che vuole tenere in scacco l’Europa e il suo paese

ROMA – Non si fanno attendere le contestazioni a seguito della vittoria schiacciante di Vladimir Putin in Russia. Alle 19 di oggi, le 16 in Italia, si sono radunati a Piazza Pushkin l’opposizione  e i comunisti.

Migliaia di persone, migliaia di cittadini che, come titolava la Novaia Gazeta oggi, possono essere vittime di elezioni truccate, ma non possono essere ingannati. E del resto la vittoria dell’ex Kgb è stata schiacciante, netta e chiara sin dal primo turno:il 64%  circa dei voti, si stima, con picchi plebiscitari, in Cecenia, che hanno sfiorato il 100%. Insieme alle opposizioni, anche i sostenitori di Putin si sono riuniti a poche centinaia di metri di distanza, divisi solo dalla sponda del fiume. Centinaia i fermi e gli arresti, e centinaia di uomini delle forze dell’ordine ad attendere i manifestanti, con i quali si sono segnalati tafferugli e scontri.

La rabbia è tanta, e Ziuganov, il candidato del maggior partito d’opposizione, commenta così il risultato: “”Le elezioni presidenziali sono state rubate alla Russia, è compito dei cittadini costringere le autorità a rispondere alle richieste della società o a lasciare libere le loro cariche per chi è pronto a lavorare duramente e in modo costruttivo” . A questo si aggiungno le numerose denunce di brogli all’interno dei seggi, oltre alle migliaia di segnalazioni circa la presenza di “caroselli”, ovvero di pullman interi organizzati da forze vicine a Putin, le quali hanno portato a votare gruppi di persone.

Ma chi è l’odierno “zar” di Russia? E soprattutto, in che modo è riuscito a mantenere saldo il suo ruolo di imperatore unico del Paese?
Nato nel 1952 a Leningrado, l’attuale San Pietroburgo, Vladimir Putin è, da ormai 12 anni, il numero uno del Cremlino. Lunghi trascorsi nel Kgb, specie nell’intenso periodo della caduta del muro con incarichi di controspionaggio, poi braccio destro di Shoback, allora sindaco di San Pietroburgo, infine un incarico di peso non indifferente al Cremlino come capo del Servizio federale di Sicurezza: una rapida e intensa carriera, che lo ha portato, nel 2000, a seguito delle dimissioni di Eltsin, a vincere le elezioni col 52% al primo turno. Un uomo che in molti non hanno esitato a definire spietato, altamente incline a usare l’arma della repressione: non è un caso se i suoi oppositori, nonostante l’alta percentuale di insoddisfatti e astenuti, non siano mai riusciti a catalizzare quei numeri a due cifre in consenso elettorale. Putin ha da sempre infatti utilizzato in maniera dispotica e in chiave personalista i media, sfruttandoli per una propaganda di sé stesso neanche troppo velata. Rispetto alle manifestazioni di dissenso, fermi, arresti e cariche della polizia sono da sempre le sue risposte. E anche per quanto riguarda situazioni di conflitto etnico, si prenda come esempio il caso ceceno, la risposta di Putin è sempre stata di carattere aggressivo e repressivo. Proprio della violazione dei diritti civili in Cecenia, e anche in Russia, si occupò Anna Politovskaja, la giornalista della Novaia Gazeta che nel 2006 venne assassinata nell’ascensore del suo palazzo, mentre rientrava in casa. Una donna coraggiosa, poco incline alle sviolinate nei confronti di quella che si è rivelata essere a tutti gli effetti una dittatura legalizzata. Una donna che denunciando i crimini di cui era stata testimone non ha esitato a scrivere nomi e cognomi di chi li commetteva: durissima la sua posizione nei confronti di Putin e delle autorità federali russe, accusate senza mezzi termini di essere fautori di abusi e violenze repressive sulla popolazione civile cecena. A tutt’oggi non si conosce il nome del mandante dell’omicidio, ma sono in molti a guardare a Putin come a un uomo che ha mani e coscienza grondanti di sangue. E oggi, qualcuno, probabilmente a ragione, ha detto che a ogni vittoria di Putin Anna Politovskaja muore per la seconda volta.

In una Russia in cui storicamente le sacche di povertà e degrado sono da sempre numerose e concentrate nei territori rurali e sottosviluppati, la reggenza dello zar ha aumentato a dismisura il dislivello tra città e campagna, indirizzando le poche e sparute riforme per la crescita a beneficio dei soli grossi centri cittadini. E c’è chi dice a beneficio della mafia e del malaffare russo. La cosa certa è che lo zar di Russia del terzo millennio, da molti ritenuto un dittatore ma in fin dei conti sempre accolto con grande benevolenza dalle democrazie occidentali, tiene sotto scacco l’Europa intera, la quale dipende da Gazprom per il 25% del suo fabbisogno. Gazprom è infatti la più grande compagnia russa e il maggiore estrattore al mondo di gas naturale. Le sue riserve, tra quantitativi propri e acquisizioni societarie, ammontano al 16% del totale mondiale. Un colosso dietro al quale si cela tutto il potere di ricatto grazie al quale Putin siede di diritto al tavolo delle potenze mondiali, senza troppe obiezioni e interrogativi circa i suoi metodi repressivi e antidemocratici.

Un vero e proprio imperatore, poco amante dei delfini e dei vicari: Medvedev, candidatosi col suo benestare dopo i suoi due mandati consecutivi, a detta di molti altro non è stato che un burattino sapientemente manovrato da Putin fino al giungere di queste fatidiche elezioni. E certo risulta un po’ difficile credere che una personalità dai forti caratteri dittatoriali e dal piglio accentratore possa essere realmente disponibile a osservare in silenzio l’avanzata di un nome diverso dal proprio.

Un potere mediatico, persuasivo nella misura in cui le obiezioni sono prontamente tacitate, con ogni mezzo; un potere che ha tentacoli lunghi e diffusi, grazie a un sistema di servizi segreti da primato. Un uomo che delle debolezze di un paese ha saputo fare la sua forza personale, la forza che di volta in volta relega in un angolo oppositori, avversari politici, sollevazioni di popolo. Un uomo da sempre notoriamente compiacente con le metastasi della società, quali la mafia russa e internazionale e dal pugno di ferro con i civili e i dissidenti. Tantissimi studiosi e osservatori sostengono che il successo di Putin, dai contorni spesso plebiscitari, sia anche il frutto di un’arretratezza culturale su cui fa buon gioco il sistema della compravendita del voto e del ricatto, del cosiddetto do ut des. Un’arretratezza che negli anni ha costruito, mattone dopo mattone, il muro che ancora nessuna rivoluzione e nessun dissenso ha saputo sconfiggere: il muro del silenzio. Il silenzio sotto il quale si cela il nome del vero assassino di Anna Politovskaja, il silenzio del quale giorno dopo giorno si nutre il regime che in Cecenia fa strame della dignità umana e dei diritti fondamentali.

Così scriveva la giornalista poco prima di essere assassinata: “Mi dicono spesso che sono pessimista, che non credo nella forza della gente, che ce l’ho con Putin e non vedo altro.
Vedo tutto io. E’ questo il mio problema. Vedo le cose belle e vedo le brutte. Vedo le persone che vogliono cambiare la propria vita per il meglio ma che non sono in grado di farlo, e che per darsi un contegno continuano a mentire a se stesse per prime, concentrandosi sulle cose positive e facendo finta che le negative non esistano.
Per il mio sistema di valori, è la posizione del fungo che si nasconde sotto la foglia. Lo troveranno comunque, è praticamente certo, lo raccoglieranno e se lo mangeranno. Per questo, se si è nati uomini, non bisogna fare i funghi.”

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