Napolitano, bersaglio dell’assalto alla Repubblica

ROMA – Piovono pietre su Giorgio Napolitano. A pochi mesi dalla conclusione del mandato, il vecchio presidente si trova al centro di un attacco mediatico senza precedenti.

Torna il suo passato comunista, Ungheria 56 in testa, si riabilita Craxi e le sue accuse ai miglioristi milanesi e ai finanziamenti sovietici al Pci, si mette sotto accusa il Quirinale e il suo staff (il povero Loris d’Ambrosio ci è morto di crepacuore) per le telefonate con Mancino a proposito della trattativa stato-mafia, infine è spuntato Guido Bertolaso, nominato dal centro-sinistra, esaltato dal centro –destra, incappato in inchieste giudiziarie, che ha rivelato di aver avuto come referente il presidente della Repubblica e non il Cavaliere. Vicende contraddittorie, slegate fra loro, nel tempo e nel merito, ampiamente confutabili (sulla pubblicabilità delle intercettazioni presidenziali si pronuncerà l’Alta Corte, sui miglioristi milanesi ci sono state sentenze, su Bertolaso non si capisce che diavolo  voglia l’ex capo della protezione civile). Insomma tutto serve a dare un’immagine “mascariata” della presidenza Napolitano.  Nell’analizzare l’attacco è bene partire proprio da qui.

 

Napolitano è stato ed è un grande presidente. Come accade in questi casi ha spesso scontentato tutti, i berlusconiani costringendoli a riscrivere leggi e decreti, gli antiberlusconiani che lo avrebbero voluto a capo della fazione anti-cavaliere. Questi ultimi però tacciono sul fatto più significativo. Grazie a Napolitano si è risolto senza drammi il problema della sostituzione di Berlusconi ed è stato rimessa in piedi una leadership di governo internazionalmente prestigiosa. Ci sono mondi, la destra, ad esempio, che non perdona al vecchio presidente l’accantonamento del proprio leader e soprattutto l’acceso europeismo, del Quirinale e di Monti, in un’epoca di ritornante euro-scetticismo. C’è, d’altro canto, il mondo giustizialista che non gli perdona di non aver obbedito alla procura di Palermo, ormai l’unica cattedra, dopo quella di Pietro alla città del Vaticano, a godere della prerogativa dell’infallibilità. L’attacco a Napolitano è cattivo, concentrato, mira alla distruzione politica e viene da due destre non a caso alleate, come dovrebbe esser nei paesi normali, cioè la destra politica e la destra giustizialista. Quest’ultima in questi anni ha trovato spazio nei vuoti lasciati da una sinistra che ha spesso trascurato le battaglie etico-morali producendosi nel fenomeno più singolare della politica occidentale, la destra che vuole dirigere  e di fatto dirige una parte della sinistra. Entrambe le destre vogliono non solo consumare vendette, si fa per dire, per conto del cavaliere disarcionato o della procura non idolatrata, ma soprattutto tendono, al bersaglio grosso. Il bersaglio grosso è quello di fare in modo che il mandato presidenziale si concluda nei dubbi, nei rancori, nei veleni. Di questi anni repubblicani non si deve salvare nulla: ai berlusconiani questo serve per dire che se è tutto marcio non sta in piedi il livore contro il proprio beneamato capo, agli antiberlusconiani giustizialisti, cioè all’altra destra, serve per affermare e promuovere l’avvento di una nuova classe dirigente che dopo l’assalto di Grillo potrà vedere in pista qualche magistrato di migliore successo rispetto a Di Pietro e a De Magistris.  Tutti alla guerra presidenziale, dunque, procure e giornali amici, berlusconiani inferociti, ex pm timorosi di non tornare in parlamento e comici alla ricerca del risultato elettorale a due cifre. Per il resto del paese, la grande maggioranza a giudicare dai sondaggi, Napolitano resta una gran brava persona e un ottimo presidente.

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