Regione Lazio. Ora rinnovamento e trasparenza

ROMA – E’ vero che  a chi perde si rende l’onore delle armi. Così come quando uno muore chi maggiormente lo ha destato ne diventa il più grande estimatore.

Onore delle armi,  le è dovuto a colei che ha presieduto il Consiglio di una delle regioni più importanti d’Italia.  Però, Renata Polverini, non se ne deve approfittare e,  sbollita l’ira funesta, può riflettere  su cosa ha rappresentato la politica del suo governo nella vita della Regione.  Quel grido quasi a convincere se stessa, “ li mando a casa io, questi signori qua”, non ha ragione di essere, non ha fondamento. Le sue dimissioni sono il segno di una crisi profonda della politica del centrodestra, a Roma, con il sindaco Gianno Alemanno, nella Regione con la sua presidenza, nazionalmente con il lascito di venti anni di governo berlusconiano. Corruzione e malaffare, non germogliano su una pianta sana. Non solo.  Quelle immagini di ragazzotti, diventata, per metodi clientelari, esponenti del mondo  del centrodestra, sono forse il fatto più grave di quanti ne siano avvenuti in poco più di due anni. Le ostriche e le pappate,  in senso di mangiare, di natura alimentare, per le altre cose sarà la magistratura a dire la parola definitiva, i milioni che giravano come bruscolini, sono un niente di fronte al degrado  morale che raccontano  scene volgari, disgustose,  nel segno del peggior maschilismo. Quelle ancelle e  quei giovani mascherati, le teste di porco, le mani che guizzano  sotto  vesti, lascivamente  aperte, occhieggianti, superano ogni immaginazione. Gli antichi romani nei confronti, con le loro feste, i carnasciali, erano dei gran signori. Boccaccio raccontava col sorriso sulle labbra  amori porcarecci, niente di morboso, di volgare.

La Polverini si è fatta riprendere, sorridente, al centro di una foto di gruppo  che non avremmo mai voluto vedere.  Non  aveva visto in che luogo era capitata? Talmente ingenua di avere abboccato all’invito del suo consigliere regionale? Se è così è ancora più grave. Perché  chi amministra la cosa pubblica ha il compito di sapere dove si trova, con chi e cosa ci sta a fare. Noi pensiamo che in questi giorni la ex presidente della regione abbia dato vita a diverse sceneggiate. Tutte si rivoltano contro di lei. Vere e proprie gaffe. Quando si è trovata con le spalle al muro per gli schizzi di fango che  lanciavano gli esponenti del Pdl, è andata a prender lumi dal ministro sullo svolgimento delle elezioni se lei si fosse dimessa. Ma come,  il voto è regolamentato da una legge regionale. Lei la ignorava? Non c’era un funzionario nell’ammucchiata del suo ufficio di presidenza, della sua segreteria, che potesse fornirle le necessarie informazioni? Non ci voleva Fiorito per sapere che gli assessori che lei aveva nominato non avevano alcun titolo, dovevano  essere ricompensati per la mancata elezione a consiglieri. Fiorito ha dichiarato che lui voleva fare l’assessore all’agricoltura ma il posto era occupato da un non eletto, quindi si era adattato ad un ruolo che non era il suo ma che, a lui, ha dato qualcosa. O no? Ora si può e si deve cambiare strada.  Le forze che sono state all’opposizione, il Pd in primo luogo, hanno bisogno di un bagno di umiltà se vogliono davvero rinnovarsi. E lo devono fare, in profondità. Perché stare con gli occhi chiusi mentre il fiume di fango scorre, non è un belvedere. Gli schizzi hanno colpito anche loro. Solo in extremis, quando hanno avvertito la pressione che veniva  dalle stesse fila dei partiti di appartenenza hanno rimediato ad un errore, grave, quale l’aver votato  quel documento voluto dalla Polverini  nel tentativo di nascondere la crisi, salvarsi l’anima. L’annuncio delle dimissioni  da parte dei consiglieri del pd poi seguiti dalle altre forze dell’opposizione e poi il ritiro della fiducia dell’Udc hanno fatto saltare il banco. Non l’ira del presidente. Ora, ci pare, che la strada sia segnata. Il più presto possibile alle elezioni, una alleanza fra le forze della sinistra e democratiche, un programma per la buona politica, che riannodi il filo interrotto del rapporto fra i cittadini e l’istituzione. Rinnovamento e trasparenza  il caposaldo  di un programma che riporti al centro dell’azione politica il bene comune, il bene dei cittadini.

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