Il Pd, una grande forza da mettere in campo

ROMA – Partiamo da una affermazione che mi pare essenziale: il Pd  era, prima delle elezioni, e si conferma dopo le elezioni  una grande forza, primo partito  al Senato ed anche alla  Camera, dove, stranamente, ci si dimentica di sommare il voto degli italiani all’estero.

In vantaggio di circa 150 mila voti rispetto al movimento  5  Stelle. Precisato questo non si può sottacere. Che gli otto milioni e mezzo di voti al M5S sono un dato gigantesco e sono voti che arrivano da tutti i ceti sociali e (con)fondono diversi orientamenti culturali e politici.  Un voto vhr  esprime una severa critica e sfiducia verso la capacità della politica, o meglio dei partiti e dei politici conosciuti, di affrontare e risolvere i problemi serissimi che la crisi ha creato a milioni di persone semplici e indifese, a migliaia di piccoli e medi imprenditori. Per loro la politica si è inceppata, degradata e incapace di dare soluzioni eque e di garantire il futuro, quindi, hanno un senso gli slogan del mandiamoli tutti a casa e sono tutti uguali. Ma come è potuto radicarsi questo orientamento culturale e politico?Lo tsunami della formazione dell’elettorato M5S nasce dalla crisi sociale e morale del paese e si ingigantisce di fronte alle politiche antipopolari delle destre europee e a quelle recessive e eccessivamente penalizzanti per i ceti medi e del lavoro del governo  Monti.
Nel tempo della “strana maggioranza” (ABC) si sono annacquate le responsabilità della crisi, livellate le diversità, offuscate le idealità e azzerate le alternative politiche.Per questo il PD pur non avendo le responsabilità di Berlusconi e né quelle di Monti è stato percepito da una parte grandissima dell’elettorato e dei giovani un partito come  gli altri. E ciò è accaduto anche perché la nostra assoluta responsabilità verso il paese è stata praticata in termini deboli rispetto alle scelte di Monti e alla fase politica.Addirittura in un primo momento una parte del gruppo dirigente ha detto che il governo Monti significava una nuova fondazione del PD e che l’agenda Monti avrebbe dovuto essere il nostro programma. Su questo punto si sono svolte le primarie tra Renzi e Bersani (oltre che sulla accusa di corresponsabilità oggettiva del gruppo dirigente del PD con le destre) tanto che Ichino, perse la primarie, è passato poi con i centristi.

L’esperienza Monti doveva essere vissuta in modo diverso

Potevamo vivere l’esperienza Monti in modo diverso? Penso di Si (e l’ho detto a suo tempo).Dovevamo essere coerenti fino in fondo con la scelta di guardare agli interessi del paese, quella scelta che ci ha portato responsabilmente a sostenere la formazione del governo tecnico nei mesi del massimo pericolo per l’economia, la democrazia e la dignità nazionale verso l’Europa. Dopo alcuni mesi però, era chiaro che al rigore sarebbe subentrata la recessione, e per di più il voto amministrativo di primavera ci segnalava che il paese chiedeva uno sbocco politico a sinistra della situazione, noi avremmo dovuto chiedere il cambiamento del quadro politico per realizzare politiche antirecessive. Il nostro senso di lealtà verso Monti ha prevalso. A dire il vero, per quel che conosco, neppure il Colle ha avvertito l’urgenza di  modificare il quadro politico. E siamo arrivati all’assurdo che Berlusconi ha tentato di cavalcare il malessere sociale facendo cadere il governo tecnico.
Dopo il voto, ora, rimane aperta per intero la questione di ricostruire una nuova fiducia degli italiani verso la capacità del PD, della politica e delle sue istituzioni di far uscire l’Italia della crisi morale e sociale.

Il valore della scelta di Bersani per  avviare il cambiamento

 
La scelta di Bersani di assumere la responsabilità di andare in Parlamento e tentare di guidare il paese su provvedimenti chiari e precisi mi pare sacrosanta. I punti sono precisi e di assoluto cambiamento come la legge elettorale, la legge sul conflitto d’interesse, la riduzione dei parlamentari e dei loro stipendi, una legge sui partiti, e nel contempo provvedimenti sugli esodati e le pensioni, la copertura della cassa integrazione, l’eliminazione dell’IMU per i più disagiati, i finanziamenti ai comuni per pagare le imprese e creare lavoro (l’efficienza energetica, ristrutturazioni, difesa del suolo), la salvaguardia dello stato sociale: scuola e sanità.

La pesante crisi democratica non ammette nessuna confusione e politicismi come sarebbe un governissimo che viene riproposto dagli ambienti moderati. Non solo al M5S il PD pone il problema di stare al merito delle soluzioni ma analoga questione viene posta a quelle potenti forze che con i loro organi d’informazione si sono battute per contenere il PD e per costringerlo a continuare in modo subalterno con la “starna maggioranza”. Come risponderanno alla chiamata di responsabilità si vedrà in Parlamento, nel frattempo noi, il PD, dobbiamo velocemente aprire una grande discussione, trasformarsi nel partito del noi, popolare, non personalistico e non elettoralistico, mobilitare e unire le grandi energie democratiche e dei lavori perché le riforme che cambiano non si fanno dall’alto e con precari rapporti di forza.
 

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