Il Decreto del fare, luci e ombre

ROMA – Il “Decreto del Fare”, appena approvato da Consiglio dei Ministri, contiene tante “piccole” cose utili. Sicuramente non saranno decisive per la ripresa se non si accompagneranno ad altri interventi di carattere più strutturale (fisco, costo del lavoro, credito, politiche industriali) e se l’Europa non abbandonerà quelle politiche che hanno prodotto la catastrofe greca, con la gravissima decisione del governo dichiudere la radiotelevisione pubblica.

Ribadito questo, tuttavia, non si può non rilevare che il Decreto contiene alcune novità politiche che vanno sottolineate in quanto smentiscono nei fatti due verità, quella delle grandi opere e quella della spending review, che, secondo il centrodestra, ma anche secondo il Governo dei tecnici, sembravano fino ad oggi intangibili e su cui per anni si sono scontrate le proposte di sindacati e amministratori. In questo senso il tentativo di Berlusconi e dei suoi replicanti, di intestarsene il merito è a dir poco penoso. In particolare due scelte contenute nel decreto smentiscono queste pretese.

La prima, finalmente, si accetta che  le postazione di spesa per le grandi opere decise da anni e  gonfiate a dismisura dai governi di destra, possono essere rimodulate  sulla base di criteri di priorità sociale che si ritengono preminenti. Finalmente. Ci voleva tanto per capire che non aveva e non ha nessun senso tenere bloccati pacchetti di miliardi su opere che richiederanno degli anni per essere realizzate. Bene quindi aver impegnato ad altri scopi le risorse destinate  da anni alla TAV, al Ponte dello Stretto,  al terzo valico Milano – Genova. Bene soprattutto averle impegnate per interventi diffusi nel territorio, rapidi da realizzare e rispondenti, questi si, a priorità sociali indiscusse quali ad esempio la sicurezza nelle scuole, abbandonando finalmente la logica delle grandi opere. Al riguardo consiglieremo, se ci  è consentito, di scavare ulteriormente sugli impegni di spesa per le grandi opere. Viene inoltre da domandarsi, visto che si è fatto 30, perché non si fa 31, rimettendo in discussione le spese militari a partire dai caccia bombardieri.
La seconda è la scelta di procedere con determinazione alla attuazione dell’agenda digitale. Anche qui era ora. Stiamo accumulando ritardi spaventosi rispetto agli altri Paesi e continuiamo a baloccarci. L’agenda digitale va considerata la via principale  per la revisione della spesa in quanto capace di attivare circuiti virtuosi di risparmio strutturale in tutte e dimensioni della vita economica e sociale in netta contrapposizione alla logica dei tagli lineari di tremontiana memoria. Se questa scelta indica l’abbandono delle spending review intesa come tagli indiscriminati crediamo che vada salutata come una svolta significativa ricca di sviluppi futuri in quanto circoli virtuosi di risparmio possono essere attivati in numerosi altri casi.  Si pensi, per fare un esempio, ai risparmi ricavabili da una politica di residenzialità dell’assistenza agli anziani e l’abbandono della logica della istituzionalizzazione che dissangua le risorse per la sanità.

Il decreto contiene altre “piccole” cose che richiederanno una particolare attenzione nella loro attuazione. Ne citiamo  una in particolare. quella di sostenere interventi di costruzione e ricostruzione nelle nostre città, fatti salvi i centri storici, è sicuramente  da condividere. Da anni la cultura urbanistica ed ambientalista critica il continuo consumo di suolo e la devastazione prodotta dalla dispersione urbana  (Berlusconi ha forse dimenticato i famigerati condoni e la sciagurata legge sulla casa). Attenzione però a dove e come si mettono le mani, e soprattutto alle ricadute sociali dei benefici derivanti da operazioni finanziarie che mettono in gioco valori che la collettività ha contribuito a determinare. Qui la tutela dell’interesse pubblico deve essere ribadita con forza sapendo che non sempre la pratica amministrativa e il quadro normativo garantisce questa tutela.Molto meno convincenti sono, infine,  le misure sulle semplificazioni. Qui, purtroppo, prevale ancora un approccio schiettamente di destra. Attenzione, la storia insegna che le semplificazioni di per se non producono più efficienza.

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