Il documento Boccia: un inno alla politica da bar Sport

ROMA – Le edizioni online di Repubblica ed Europa hanno pubblicato, oggi 19 agosto, la versione integrale di un documento “politico” per il dibattito congressuale del Partito Democratico, attribuito alla penna di Francesco Boccia, attualmente presidente della Commissione Finanze della Camera, e in passato, battuto due volte da Niki Vendola alle primarie del Centrosinistra pugliese.

A sfogliare i quotidiani online e le agenzie di stampa, sembra che ne sia nato un caso. Sulle prime, infatti, il documento era stato presentato come il contributo di parlamentari “lettiani” al Congresso del Pd. Con il passare delle ore, e presumibilmente dopo una più attenta lettura del testo, si è fatto pressante il dietrofront degli amici di Boccia, a cominciare proprio dal presidente del Consiglio Letta, che in un comunicato ufficiale fa sapere non solo di non essere mai stato al corrente di iniziative del genere, ma che mai sarebbe intervenuto nelle dinamiche congressuali. A seguire, il senatore Francesco Russo, dello stesso entourage di Letta, dal momento che è il presidente dell’Associazione 360 gradi, think tank del lettismo, ha preso pure lui le distanze dal documento Boccia. E non solo. Anche i seguaci di Matteo Renzi, dopo un primissimo atteggiamento di curiosa apertura, ora vedono in quel documento un pericoloso tentativo di legittimazione delle larghe intese come progetto politico. E ancor prima, pur confessando di non averlo ancora letto, Stefano Fassina, dalla parte dei bersaniani, ne aveva preso le distanze parlando di “nuovismo” retorico.
Come stanno davvero le cose? Confessiamo che dopo averlo letto la prima volta, e poi una seconda volta, è cresciuta l’impressione di un testo confuso, sbagliato, irritante e molto più che mediocre. Davvero, un’esaltazione della chiacchiera da bar Sport. Una sorta di processo alla Sinistra, italiana ed europea, che ha nomi e cognomi precisi, anche se l’estensore si è guardato bene dal farli, con un tono talmente apodittico, da presunto primo della classe, da invitare il lettore a interrompere la lettura, per rabbia dinanzi a tanta protervia.

Uccidere la sinistra per giustificare  le larghe intese

 Insomma, per giustificare le larghe intese e il governo Letta, sembra dire ad ogni riga, occorre uccidere e sbarazzarci della Sinistra, della sua tradizione, dei suoi valori, perfino della sua cultura, giudicate conservatrici e obsolete. Mentre il “sol dell’avvenire” è nella modernità dell’Occidente, che affonda le sue radici nella tradizione giudaico-cristiana.
Ecco alcune “perle” tratte dal documento. L’evento più importante del Novecento? “La caduta del muro di Berlino” che ha spazzato via i totalitarismi. Ora, scritta così, fa davvero sorridere, perchè la Storia, si sa, o la si studia o non la si studia. E l’estensore del documento evidentemente fornisce giudizi storici senza conoscere la Storia. E prosegue, con la protervia del saccente narcisista: non solo è morto il totalitarismo politico, ma anche “il totalitarismo economico, cioè il dirigismo, comunista e non”. Qui davvero dal sorriso, si passa alla risata. E non contento, aggiunge: “non c’è più il totalitarismo religioso oppure, come invece accade, il totalitarismo laicista che continua a minare profondamente la nostra società gettandola nel mare del relativismo (facendola, in questo modo, annegare)”. Qui ci scappa una risata sguaiata, nella speranza che sia finita. Macchè. Prosegue imperterrito, senza timore del ridicolo: “non trova alcun diritto di esistere il totalitarismo giudiziario, né quello etico, né il falso moralismo che riempie giornali e salotti della politica. Il totalitarismo è vecchio e andato”. Ma non era morto? Ridurre il totalitarismo da categoria di interpretazione storiografica (leggi Adorno o Hannah Arendt, ma che glielo dico a fare?) dell’intero Novecento, a burletta da bar Sport, solo per accontentare qualche prelato (anche nel Pd ci sono), francamente supera ogni sprezzo del ridicolo.

 Tesi di destra, ignoranza teorica,confusione politica

Dopo aver gettato nel cestino la laicità dello Stato garantita dalla Costituzione. Dopo aver spazzato via il relativismo culturale dei laicisti. Dopo aver fatto l’elogio della società degli individui e della meritocrazia (“quella VERA” dice il documento, con tanto di maiuscolo). Dopo aver bastonato quei cattolici democratici e pluralisti che “non si sono vergognati” per aver tolto il Crocefisso dai luoghi pubblici, finalmente il documento punta l’indice accusatorio contro la Sinistra conservatrice, colpevole dell’arretramento dell’Italia e dell’Europa. Ora, fa davvero ridere la lettura di un documento che esalta le tendenze più oscurantiste di certo cattolicesimo, che nemmeno Buttiglione si sarebbe mai neppure sognato di appoggiare, mentre accusa “certa Sinistra” di conservatorismo. Qui si tocca davvero l’apice del ridicolo. Ed è perfino chiaro il nome e il cognome dell’accusato: la Cgil, la Fiom, e tutti coloro che ancora si battono per i diritti dei lavoratori sui luoghi di lavoro. Perchè, dice con falso candore il documento, è finita l’epoca in cui si difendono e si tutelano i garantiti, mentre si lasciano alla deriva i milioni di giovani precari e non garantiti. Eccola, la chiacchiera da bar Sport. Ecco, cioè, il paradosso: la precarietà è colpa del sindacato, della Cgil, della Fiom, mica delle imprese, che vi hanno speculato per decenni. E se le imprese, in nome della modernità, volessero negare diritti costituzionali, beh, poco male, viva il merito, dice il documento. Dunque, sempre secondo il Vangelo di Boccia, la precarietà si combatte col merito e con la meritocrazia, mica con la Costituzione. E chi non è d’accordo, peste lo colga, perchè è conservatore.
Il documento è davvero zeppo di queste tesi, che sono di destra, e manifestano ignoranza teorica, confusione politica, mancanza di disciplina storica, offensive e sbagliate. Che provengano dall’interno del Partito democratico non spaventa, e neppure stupisce. Ora però conosciamo un po’ meglio le idee che hanno ispirato quei 101 o più parlamentari che in un giorno d’aprile negarono a Romano Prodi l’elezione a presidente della Repubblica.

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