Un vulcano sull’Europa

ROMA – “Aiutateci, ci massacrano”, Corriere della Sera. “Obama: è un dovere fermare il genocidio. Nuovi raid USA in Iraq”, la Repubblica. I due principali giornali lanciano un grido d’allarme.

La Repubblica pubblica un’intervista di Barak Obama al New York Times, che vi consiglio di leggere perché risulta chiarissima la consapevolezza degli errori (e dei “crimini” -dico io- commessi in Medio Oriente dai suoi predecessori), la Stampa, un’analisi di Roberto Toscano.

Perché parlo di crimini. Dopo la rivoluzione di iraniana del 79, gli americani hanno prima armato i sunniti della regione contro gli sciiti (Saddam, alleato degli USA, usò persino i gas contro i Curdi durante la guerra all’Iran), poi si sono rivolti contro borghesia e militari sunniti (due guerre, una per ogni Bush), consegnando Bagdad agli sciiti, che poco hanno fatto per frenare la guerra settaria. Infine, quando la primavera araba ha toccato Damasco, gli Stati Uniti si sono ritirati, per non scegliere tra il macellaio alawita Assad e un’opposizione raccogliticcia, a prevalenza sunnita e con nella pancia  anche i tagliagole nel nome di Allah.Da questa follia criminale – non saprei come definirla altrimenti – dell’Occidente, è nato e si è rafforzato il Califfato islamista tra Iraq e Siria. Con il genocidio in corso (si sterminano gli uomini e si riducono in schiavitù le donne) contro gli Yazidi, seguaci di una religione pre islamica che aveva resistito per millenni, e la pulizia etnica contro i cristiani. Obama spiega (nell’intervista) che la soluzione in Iraq non può che essere politica: un governo di solidarietà tra sciiti, sunniti laici e curdi. Chiede – in modo piuttosto esplicito – l’aiuto dell’Iran e avverte che l’intervento americano “non durerà settimane”. Cioè sarà lungo, anche se condotto -spera Obama – soprattutto dal cielo. Toscano scrive come invece in America gli chiedano di ritirarsi e basta: «Non facciamo (più) danni. Ogni volta che gli Stati Uniti toccano il Medio Oriente, peggiorano le cose. E’ venuto il momento di ritirarci, senza voltarci indietro». Stephen Walt. L’America si ritira, dunque, (del tutto o solo dal terreno) e ci lascia seduti sopra un vulcano. Noi europei. Non lontano da Iraq e Siria, c’è Israele. “La vera questione -dice Obama- è come sopravviverà. Come creare uno Stato di Israele che sappia mantenere le sue tradizioni civiche e democratiche. Per riuscirci sono sempre stato convinto che sia necessario trovare un modo per vivere fianco a fianco dei palestinesi, in pace. È necessario riconoscere che le loro rivendicazioni sono legittime, e che questa è anche la loro terra”. Ma non è quello che gli alleati hanno detto per decenni al governo israeliano. E se l’antisemitismo torna anche a Roma, sotto forma di boicottaggio di commercianti italianissimi e di religione ebraica, è certo perché la bestia del razzismo è viva e vegeta, ma anche un lascito di chi ha lasciato credere agli Israeliani che la questione palestinese si potesse risolvere con le armi e due campi di concentramento. Si vota in Turchia. Qualche anno fa il cuore di Istambul  batteva per l’Europa. Lo stato di Ataturk un avamposto Nato. Ora rischia di vincere Erdogan, che odia i giornalisti e le libertà, disprezza sia l’Europa (che lo ha rifiutato) sia Israele. A sud Ovest l’Egitto dei generali ha messo fuori legge anche il braccio politico dei fratelli musulmani. Ancora più a ovest, milioni di africani, senza più patria né possibilità di ritorno, sognano di buttarsi nel Mediterraneo. Questo, sì, ci interessa. Il Giornale scrive “Basta immigrati. Ci costano 12 miliardi l’anno”. Nessuno parla di Ebola. A Freetown, in Sierra Leone, il coprifuoco scatta alle 19. La paura è che nella notte qualcuno sposti i malati. Per non lasciarli morire  in isolamento, senza neppure medici e infermieri che scappano al cospetto del male. La paura è di funerali in cui i parenti abbracciano i morti, com’è tradizione, e contraggono il virus. La paura è che la gente voglia credere che è solo un complotto, dell’Occidente e dei suoi untori e dei politici suoi alleati. Perciò i cartelli accanto alle fonti d’acqua non dicono: “lavatevi le mani” ma “Ebola è reale”. L’africa è nel nostro futuro molto più di quanto non sia in quello degli Stati Uniti e della Cina, che curano là interessi imperiali. Dovremmo esportare in Africa cultura, igiene, industrie farmaceutiche sottratte al ricatto del business, democrazia. È una priorità della nostra politica estera? È questo che chiediamo all’Europa? A parte qualche voce isolata (Emma Bonino, Stampa, pag. 10), non mi pare. E poi c’è la Russia. Siamo stati così idioti di aprire le porte dell’Europa a quasi tutti gli stati sul confine, di portare le armi NATO a due passi da Mosca, ma pretendendo di comprarceli, i Russi, con le nostre commesse di gas, con le tangenti e ricevendoli, quali ospiti d’onore, nei più bei ristoranti e negli Hotel a tutte stelle. Corrivi con Putin quando sfregia i diritti, persegue giornalisti, minaccia gli omosessuali. Aggressivi, dietro l’ombrello americano, dimenticando le guerre che l’Europa ha perso in Russia. L’Europa riposa sul vulcano. Perirà se non saprà costruire un’Unione Politica intorno all’area dell’Euro, con una politica economica, estera, della difesa, una democrazia liberale orgogliosa di sé, un welfare solidale. Altri paesi potrebbero restare ma solo in un Europa più grande, inclusiva ma senza la pretesa di porre veti. D’altronde è la logica che ci spinge là. Penso a Draghi che sollecita cessioni di sovranità e consiglio la lettura di Giorgio Ruffolo e Stefano Sylos Labini su Repubblica.

Oggi non commento i titoli su Renzi né le sue chiacchierate con i retroscenisti. “Non prendo ordine dalla UE. Ho la maggioranza più solida della seconda Repubblica”, la Stampa. “Adesso è nelle mani del Caimano”, il Fatto. Mi pare il vincitore della Battagli del Senato si dibatta come una foca in una vasca da bagno, Diamogli tempo. 

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