ROMA – Cgil e Uil hanno superato la prova dello sciopero generale, dopo la riuscitissima manifestazione nazionale della Cgil.
I soliti noti potranno raccontarla come vogliono ma tantissimi lavoratori si sentono rappresentati dai sindacati malgrado l’opera di denigrazione sistematica del loro ruolo, fino a cercare di addossargli la responsabilità del precariato che hanno combattuto. Purtroppo il Governo Renzi ha impresso a questa linea un di più preoccupante ed è riuscito solo all’ultimo minuto ad evitare la stupidaggine di Lupi di precettare i ferrovieri.
Qualche esponente istituzionale di maggiore esperienza ha espresso preoccupazione per i toni di scontro tenuti dal Governo contro i sindacati, dipinti come la conservazione. Il piatto di lenticchie della polemica a buon mercato contro i sindacati, ben vista dal moderatismo nostrano, sta creando un problema di portata enorme, che forse Renzi aveva sottovalutato, ebbro del pluricitato risultato del 40,8 % del Pd alle europee.
Ormai anche i risultati ottenuti nella campagna europea dal Governo italiano si sono drasticamente ridimensionati, perché è evidente che non c’è il cambiamento di orientamento dell’Europa e la stessa iniziativa della Bce, tanto reclamizzata ma ancora da decidere, è rivolta più ad evitare che la recessione investa tutta l’Europa che per aiutare paesi in difficoltà, ormai da 7 anni, come l’Italia. Il piano Juncker è senza finanziamenti adeguati (21 miliardi trovati su 300 promessi) ed è ancora tutto da costruire; la Commissione europea ha rinviato il giudizio sull’Italia a marzo ma si avvertono brontolii di fondo che non promettono nulla di buono. Per di più lo scandalo sui regali fiscali alle grandi imprese che ha investito il Lussemburgo e in particolare Juncker, capo del governo di quel paese per decenni, in barba alla solidarietà europea, hanno indebolito non poco l’autonomia reale del nuovo esecutivo europeo, che quindi non potrà fare la voce grossa, ammesso che lo volesse, verso la Germania e i falchi del rigore.
Quindi dall’Europa non verranno le novità sperate e si sta rivelando un errore avere pensato che offrire qualche scalpo avrebbe ammorbidito l’austerità europea. Per questo Renzi ha invertito le priorità iniziali del Governo, ma le iniziative come tempo determinato senza vincoli e attacco all’articolo 18 non ottengono il risultato di una maggiore benevolenza europea ma nello stesso tempo lacerano il tessuto sociale nazionale.
Proprio la lacerazione del tessuto sociale nazionale è il frutto avvelenato di un atteggiamento arrogante e dell’applicazione delle direttive neoliberali, in particolare nel mercato del lavoro, oggi ancora più deregolamentato fino a rendere più conveniente licenziare per riassumere come ha dimostrato conti alla mano lo studio della Uil sugli effetti combinati degli incentivi alle assunzioni e dello stravolgimento dell’articolo 18.
Si parla molto a proposito e a sproposito della Germania. E’ un fatto che di fronte alle difficoltà i diversi soggetti politici e sociali della Germania, pur restando i punti di vista diversi e perfino confliggenti, hanno capito che è conveniente per tutti cercare punti di convergenza, ad esempio per la crescita della competitività.
In Italia invece è prevalsa la linea delle dita negli occhi e il Governo Renzi in questo è stato protagonista, arrivando a teorizzare di non avere bisogno di altri protagonisti, dipinti invece come frenatori, autentici impacci e anche peggio.
Il risultato è che ora, di fronte al ritorno dei pifferi di montagna dalla campagna d’Europa, suonati come nella storiella, ci si comincia a rendere conto che si è andati oltre il segno. Come al solito i peggiori sono gli imitatori che non vanno tanto per il sottile, con risultati devastanti per la foga messa nella polemica, senza alcun riguardo per i guasti creati. Contro il sindacato se ne sono sentite di cotte e di crude, fino al capovolgimento di cercare di addossargli le responsabilità delle scelte politiche dei governi e delle imprese, che ricorda la favola dell’agnello e del lupo.
Il risultato è che ora tutto è più difficile. I lavoratori si sentono lontani come non mai dall’azione del governo e che a guidarlo sia il leader del Pd non fa che peggiorare le cose, perchè l’antipolitica la fa da padrona negli umori dei lavoratori, che per di più sanno di portare sulle spalle il fardello più pesante della crisi in termini di caduta dell’occupazione e dei redditi, tanto che questi elementi sono diventati, per riconoscimento pressochè unanime, i vincoli negativi alla ripresa economica del nostro paese. Per fortuna la reazione sindacale offre un punto di riferimento.
E ora ? Il Governo può perseverare ancora nell’errore, ma per quanto tempo ? Le sabbie mobili dell’accordo del Nazareno sono evidenti. La credibilità del Governo si sta sfilacciando rapidamente e la capacità di resistere alle pressioni conservatrici europee può venire solo dal consenso interno e dalla rete di relazioni con altri paesi europei. Il consenso interno è in caduta libera, perché è stato preferito il dileggio alle relazioni con i soggetti sociali e in particolare con il sindacato, i rapporti con gli altri paesi europei sono ridotti all’ognun per sé, perfino tra i paesi in difficoltà, confermando che la presidenza italiana di questo semestre europeo è passata senza lasciare traccia. Così dove si pensa di andare ?
Oggi tutto è più difficile, ma si potrebbe ancora fare un tentativo di recuperare. Difficile, ma non impossibile. Il recupero non può che passare da una svolta politica radicale del Governo. Altrimenti il logoramento proseguirà, con gravi pericoli perché nessuno degli attori principali è oggi in grado di caricarsi il fardello, come è stato in passato in occasioni difficili.
Il prezzo più alto potrebbe pagarlo proprio il Pd, per ora annebbiato dal successo elettorale europeo e troppo presto dimentico della sconfitta bruciante nell’elezione del Presidente della repubblica e dell’esito post elettorale. Se il destino del partito e del Presidente del consiglio restano una cosa sola e se non ci sarà la svolta, per cambiare le cose, alla fine inevitabilmente dovranno essere superati insieme.
Minacciare l’arrivo della troika è un’arma spuntata visto che vengono già applicate le direttive europee sull’austerità fingendo di averle scelte in piena autonomia (“servono a noi, non ce le impone l’Europa”), per questo è meglio attrezzarsi per cambiare segno alle politiche nazionali e a quelle europee riannodando il filo di una linea comune e della solidarietà, in particolare tra paesi in difficoltà. La mancata ricerca di un fronte di paesi in grado di opporsi all’austerità è stato un errore strategico di Monti (l’Italia non è la Grecia) proseguito da Letta e reso stabile ora da Renzi, che ha scelto di distinguersi dalla Francia sul rispetto del 3 %. C’è poco da fare, l’unico modo per salvare l’Euro, e l’Italia, è affrontare di petto la politica di austerità, creando il fronte necessario per batterla, vivendo l’evoluzione politica possibile della Grecia come un’opportunità positiva, non come un problema in più. L’austerità è la vera nemica dell’Unione, quella che potrebbe dissolverla, e va battuta, altrimenti il futuro è nero per tutti, perfino per i paesi più forti.