Trattativa Stato Mafia. Brevi riflessioni sulla assoluzione dell’ex ministro Mannino

ROMA – Arriva il primo pronunciamento sull’accordo fra pezzi di istituzioni e uomini della mafia.

Si tratta di una assoluzione che pare faccia riferimento all’articolo 530 comma secondo c.p.p., cioè, la vecchia insufficienza di prove. L’ex ministro democristiano, accusato di violenza a corpo politico dello Stato, ha scelto il giudizio abbreviato, mentre il processo principale è attualmente in corso a Palermo. Secondo l’accusa, il politico cercò di aprire un canale privilegiato con alcuni boss di Cosa nostra temendo soprattutto per la propria incolumità. Quindi si mosse per un interesse personale che a mio avviso poco o nulla ha a che vedere con la trattativa “sensu proprio”.  Certamente siamo di fronte ad un’assoluzione che però, per onestà intellettuale, va detto sembra sia stata formulata con il meccanismo giuridico della vecchia insufficienza di prove e non perché il fatto non costituisce reato, inoltre, in questo specifico caso, si è agito per fini personali e non di Stato. Se così fosse, questo processo non inficia affatto la tenuta accusatoria del processo principale. Da quanto si è potuto leggere il processo all’ex ministro prende in esame soprattutto il primo frammento storico della trattativa che poco o nulla ha in comune con il resto dell’inchiesta. Per contestualizzare i fatti è bene dire che siamo storicamente negli anni che precedono le stragi di Falcone e Borsellino, prima delle bombe terrificanti rimaste scolpiti nella storia e nella coscienza di questo Paese. Mannino dal punto di vista politico resta quello che è stato, per quanto riguarda la sentenza di primo grado aspetterei di poter leggerne le motivazioni.

I problemi di questo Paese restano sempre e comunque le nefandezze travestite o coperte troppo spesso dall’ipergarantismo. Ricordo che anche ai tempi di Falcone la situazione non era tanto diversa da quella dei nostri giorni. Sia Falcone che Borsellino furono screditati, fatti dimenticare e poi eliminati. Mi auguro che i pubblici ministeri di questo processo non gettino la spugna e che trovino ancora la forza di andare avanti.  In conclusione, voglio richiamare con veemenza le parole di Paolo Borsellino: “sui rapporti tra mafia e politica c’è un equivoco di fondo: si dice che quel politico era vicino alla mafia, che quel politico era stato accusato di avere interessi convergenti con la mafia, però la magistratura, non potendone accertare le prove, non l’ha condannato, ergo quell’uomo è onesto… e no! Questo discorso non va, perché la magistratura può fare solo un accertamento giudiziale. Può dire, ci sono sospetti, sospetti anche gravi, ma io non ho le prove e la certezza giuridica per dire che quest’uomo è un mafioso. Però i consigli comunali, regionali e provinciali avrebbero dovuto trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze sospette tra politici e mafiosi, considerando il politico tal dei tali inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Ci si è nascosti dietro lo schema della sentenza, cioè quest’uomo non è mai stato condannato, quindi non è un mafioso, quindi è un uomo onesto!” Parole queste sulle quali i cittadini onesti devono riflettere. I processi accertano solo se siano stati commessi fatti penalmente rilevanti non sono i luoghi più adatti a ricostruire la storia, in questi casi specifici, in uno Stato “serio”, è la politica a fare pulizia al suo interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi o da fatti inquietanti, anche se non costituenti reati. Questo non è mai stato fatto, delegando sempre più spesso questo compito alla magistratura. Il nostro è un Paese che purtroppo dimentica tutto troppo facilmente!

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