Lotta al terrorismo, Europa dove sei?

ROMA – “Dopo le stragi di Parigi del 13 novembreè nato l’embrione dell’Europa. L’Europa unita è il nostro solo orizzonte”. Queste parole dello scrittore e saggista spagnolo Javier Cercas intervistato dal Corriere della Sera sono piene di speranza e di buon senso. Ma allo stesso tempo, drammaticamente, ci parlano di quello che l’Europa non è stata fino ad oggi e delle fragilità colpevoli di un continente molto attaccato al ‘soldo’ e poco alla politica ed a interessi comuni diversi da quelli economici.  

Quella europea è stata di fatto un’unione solo monetaria ed economica e persino il diritto costituzionale europeo riguarda fondamentalmente il mercato: l’unità dello stesso è il punto di vista centrale. Di fronte a questioni di altra natura, specie se assumono il carattere dell’emergenza – vedi immigrazione e terrorismo – la miseria delle politiche dell’Unione emerge in tutta la sua gravità. E con esse anche l’inadeguatezza delle istituzioni sovranazionali, spesso intrappolate in ruoli simbolici e poco incisivi in termini di potere reale. Sicché, in presenza di crisi, prevalgono sulle istituzioni rappresentative del continente i governi nazionali e accordi come Schengen, voluti per favorire lo scambio delle merci, diventano boomerang quando emerge che hanno reso le frontiere comunitarie un colabrodo permanente.

La politica estera è il tallone di Achille di questa Europa, che all’indomani del 13 novembre si è scoperta fragile, inadeguata, vittima di se stessa. Prenderne consapevolezza, tuttavia, non basta per un cambio di rotta. E si vede. Contro la terribile minaccia del terrorismo jihadista sono i singoli governi ad essere all’opera, mentre il Servizio europeo per l’azione esterna, che dovrebbe essere il ministero degli esteri europeo, praticamente non esiste. La pur encomiabile Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, fatica a trovare una linea comune dei paesi membri. Nessuno vuole cedere una parte di sovranità nazionale in nome delle istituzioni europee: questo è il nodo di sempre di questa Europa. Men che mai vuole farlo la Francia. Non a caso Hollande, nel chiedere aiuto ai colleghi europei si è appellato all’art. 42 del Trattato di Lisbona che dà un ampio margine di azione ai singoli stati anziché alle istituzioni comunitarie. 

La cerimonia solenne di commemorazione delle vittime di Parigi pochi giorni fa ha dato il segno di una Francia ancora sotto choc, stretta in un dolore forte, difficile da lenire. Ma anche di una Francia che non rinuncia al proprio nazionalismo, alla forza emblematica del proprio tricolore, e che si unisce attorno a un presidente in passato contestato e poco amato, ma pur sempre guida della ‘grandeur’ in questo momento drammatico. La scenografia di quella cerimonia, suo malgrado, è stata emblematica e specchio di una realtà che stride con l’Europa unita. Un’Europa impotente di fronte alle iniziative unilaterali del presidente francese in Siria e che oltre l’imposizione delle regole di bilancio non riesce proprio ad andare.  

Allora che fare? Prendere, innanzitutto, atto che la crisi dell’Europa oggi è di tipo costituzionale e tocca elementi essenziali per uno stato come, ad esempio, la sovranità. E che le istituzioni europee così come sono non funzionano. Sono complicate, entrano spesso in conflitto tra di loro, persino i nomi che prendono danno adito a confusione (Consiglio dell’Ue, Consiglio europeo). C’è un sovraccarico istituzionale che va a scapito della rappresentanza parlamentare a cui ancora non si riconosce centralità. E allora sì, è importante guardare a un’Europa unita, ma di certo non può essere questa che conosciamo, almeno non così come è stata concepita.

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