Grillo come Trump? Populisti allo specchio

L’accostamento non sembri audace: Beppe Grillo e il presidente  degli Stati Uniti hanno molte cose in comune, più di quanto si possa vedere a occhio nudo. Ma non c’è bisogno di mettere sotto il microscopio il leader del M5S con il capo della Casa Bianca, basta guardare alle loro origini.  

Tutte e due vengono dal mondo dello spettacolo o meglio dalla televisione: Trump era popolarissimo in tutti gli States molto prima di scendere in politica.  Gli americani l’hanno votato perché piaceva il suo modo di stare in scena in un talent di sua invenzione, trasmesso per anni con grande successo. Per l’americano medio, quello che vive nei grandi Stati interni, dalle aziende zootecniche che il padrone visita in aereo tanto sono vaste, Donald Trump era un modello insuperabile di uomo di successo, con un fisico prestante da attore, dai tanti soldi, dalle tante belle mogli, dai modi spicci e aggressivi. Del resto, in anni precedenti  quegli stessi elettori avevano già portato alla Casa Binaca un ex-attore come Ronald Reagan, e avevano eletto governatore della California un muscoloso Schwarzenegger. E’ come se da noi, fatte le debite proporzioni, avessimo eletto al Quirinale Mike Bongiorno per la sua popolarità e simpatia o, più recentemente, Fiorello o Roberto Benigni. 

La povera Hillary Clinton è stata sconfitta come Presidente perché non è televisiva, né glamour, né popolare. Una battaglia, la sua, perduta in partenza. E se oggi Trump suscita tante critiche da chi non l’ha votato, fa parte del gioco: fra due anni alle elezioni intermedie avrà forse qualche voto in meno, ma finirà tranquillamente il suo mandato quadriennale, forse non otterrà di rinnovarlo per altri quattro, ma non è detto. 

Con chi se la prende oggi il presidente Trump? Con i rappresentanti del partito avverso, i democratici, con i giudici della Corte Suprema che non ha eletto lui, con le minoranze. con gli immigrati, con la stampa. Come da copione: nessuna sorpresa, nessun colpo di scena. Sembra un attore di Hollywood che reciti la sua parte sotto gli occhi del regista. Solo che stavolta Trump è anche regista di se stesso oltre che attore. Ma forse proprio per questo è piaciuto a mezza America.

E Beppe Grillo? Anche lui viene dallo spettacolo, dalla televisione, dove si è imposto con il suo umorismo graffiante che non era ingenuo come quello di Paolo Villaggio (che oggi forse lo guarda da lassù un po’ perplesso), Grillo non è mai stato un Fantozzi, ha sempre preso di petto il mondo. Come Trump.

Uno dei più fortunati numeri comici che Grillo faceva in televisione e in teatro, (quando la Rai gli dichiarò l’ostracismo, per le troppe querele che aveva collezionato, aveva chiesto asilo alla televisione svizzera) era quello del telefonino che, per eccesso di tecnologia, attivava l’esplosione dell’airbag in un certo modello della Opel. In seguito all’apertura dell’airbag, l’automobilista perdeva il controllo del volante e andava a schiantarsi contro un pilastro dell’autostrada. Si salvava la vita proprio grazie all’airbag attivato per sbaglio dal telefonino. Ovviamente non era vero niente, era quella che oggi si chiama una fake news. L’effetto comico comunque era assicurato, come gli applausi, ma quelli della casa automobilistica tedesca non ci trovarono nulla da ridere e gli chiesero i danni. 

Grillo attore in televisione era in quegli anni come Trump oggi alla Casa Bianca: sparava su tutto e su tutti. Un suo programma di successo era Te la do io l’America, sui difetti di quel popolo, cui seguì, meno brillante, Te lo do io il Brasile. Ma ormai Grillo era lanciatissimo, le tv se lo contendevano, riempiva i teatri. E un giorno pensò che tanta popolarità andasse impiegata meglio: entrando in politica fondando un partito, attaccando le istituzioni.  Un Bossi meno becero, con ambizioni meno localistiche. E come Trump oltreatlantico, anche Grillo piacque alla massa e trovò seguito.

Oggi si esprime nel suo blog come faceva in video o sul palcoscenico: contro tutto e tutti, minacciando sfracelli, facendo, lui ligure, promesse da marinaio, fantasticando di un’Italia diversa, migliore, senza regole né legami, dove ognuno possa esprimersi come vuole. E guai a contraddirlo. Anche Grillo, come Trump, detesta, il partito democratico, i giornalisti, dopo un esordio terzomondista ha dato ai suoi parlamentari l’ordine di appoggiare le iniziative proposte dal governo per contenere l‘immigrazione, fa del populismo più sgangherato la bandiera da portare in piazza per raccogliere applausi (oh, pardon, voti), guardandosi dentro non riesce più a distinguere l’attore di ieri dal capopopolo di oggi, se avesse il potere cui aspirano i suoi giovani parlamentari si sarebbe battuto per far uscire l’Italia dall’Europa, per abolire l’euro e tornare alla lira.

Insomma, un piccolo Trump di casa nostra, ma con altrettanto smisurato ego da imporre ieri sul pubblico televisivo oggi sul popolo italiano che va a votare. Anche in questo l’Italia di Grillo è paragonabile all’America di Trump: sono sempre meno le persone che vanno a votare, quasi la metà. Come chiamarla? Disaffezione, rifiuto della politica, qualunquismo (da L’uomo qualunque, partito politico di destra fondato nell’immediato dopoguerra da Guglielmo Giannini, autore di teatro, anche lui). Resta il fatto che mai come in questo momento l’Italia che rischia di cadere nelle mani dei Grillini e l’America ormai proprietà privata del tycoon con la pannocchia sulla fronte, avrebbero bisogno di autentici, responsabili, competenti leader politici, ai quali affidare le sorti di un Paese, come il nostro, che non merita tanta decadenza. Verrebbe da dire a Grillo: “Te la do io l’Italia”.

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