SIENA – Il grande filosofo Friedrich Nietzsche sosteneva che ogni verità è curva e Milo Manara l’artista che ha dipinto il Palio dedicato alla Madonna Assunta in cielo del 16 agosto 2019 ha da sempre fatto propria questa lezione applicandola ai corpi femminili. A lui dopo grandi nomi della storia dell’arte è stato assegnato il compito di rappresentare la carriera, come viene chiamata a Siena, del 2019.
Il momento dell’attesa che mostra scoperta la Madonna nella visione di ogni artista designato al compito, segna sempre un irripetibile emozione. Lo stupore sui volti dei contradaioli rappresenta l’epifania di un visibile che ognuno ha nella propria mente e stupisce il pensiero che ci siano ancora occhi capaci di tanta trepidazione davanti alla rappresentazione del divino in una epoca dove le immagini di violenza e le catastrofi sovrabbondano e dove sembra prevalere l’indifferenza e il qualunquismo. In questi momenti appare chiaro come la dignità dell’Arte stia nel tener viva la meraviglia dell’essere. Siena coglie il sacro attraverso un telaio rigorosamente laico. Un lavoro didattico non trascurabile dove fede e arte presentano al loro interno il seme dell’infinito.
É in questo momento che ci si devono sempre aspettare i fischi perché i senesi quando si tratta di Palio non perdonano e non amano vedere stravolta l’immagine di colei che rappresenta la Madre di Dio. L’arte seppur silenziosa, sa essere molto eloquente. Questa volta però non è avvenuto così; la Madonna di Manara ha prodotto un effetto magnetico ed è stata accolta subito con calore e affetto.
Se l’erotismo è la spinta misteriosa verso ciò che è assente le donne di Milo Manara ben riflettono questo concetto; carnali, sinuose, sensuali, con i capelli vaporosi al vento, la bocca carnosa e socchiusa e le forme generose. Eppure sempre assenti. Esistono solamente nella mente di colui che le ha rappresentate e riflettono forse la propria parte femminile o forse il proprio ideale di donna. Ma una volta riprodotte su tela, pur recando i tratti dell’artista che le ha create, acquistano una loro identità e una loro autonomia. Divengono la rappresentazione dell’invisibile attraverso il visibile, come hanno sostenuto, seppur in maniera diversa, Paul Klee e Joan Mirò, nel secolo scorso a proposito dell’arte. Amore, bellezza, spiritualità, sacralità, indicibile.
Ogni artista quando dipinge il Cencio rappresenta la propria idea di Madonna che è ispirata dall’oltre e dall’altro dando vita a qualcosa di nuovo che può nascere senza l’aiuto di un supporto corporeo oppure ispirata da un modello, ma in entrambi i casi pur avendo insiti i tratti di colui che l’ha rappresentata, resta fedele alla propria natura.
Ideali di un mondo che si colloca in altre realtà, al confine fra cielo e terra, simboli ai quali ognuno di noi associa la propria visione della vita o i propri stereotipi.
Ecco allora che la Madonna di Botero vinta dalla contrada della Tartuca nel 2002 straborda di forme generose e ammicca a un mondo dove la bellezza non è certo quella della classica Grecia, e prima ancora la Madonna di Gerard Fromanger, vinta dalla contrada del Drago nel 1989; una mamma che spinge una carrozzina come una donna qualunque che fece discutere non poco. O quella di Mimmo Paladino andata sempre alla contrada del Drago nel 1993 che scandalizzò popolo e clero a causa di pseudo segni fallici guadagnandosi anche un: “Un ci piace punto!” detto con una foga toscana ben descritta da Curzio Malaparte nel libro: Maledetti toscani. Non sono poi da dimenticare i Palii dipinti da Ali Hassoun e da Charles Szymkowicz, che hanno avuto il merito di far riflettere, discutere, confrontarsi.
Non importa se alcuni Palii sono dipinti da grandi artisti, queste Madonne sono andate troppo al di là dell’inconscio collettivo del popolo. Troppo sofisticate, troppo al di fuori dell’iconografia classica che vuole nel volto della Madre di Dio tratti e caratteristiche riconoscibili e rassicuranti. Sandro Chia, Renato Guttuso, e adesso Milo Manara, insieme a molti altri artisti hanno soddisfatto queste caratteristiche traducendo con forme e colori l’archetipo che ognuno di noi accosta ad una propria immagine, onnipresente ma allo stesso tempo assente.
Cicli e ricorsi della storia, scandali, bellezze, sacro e profano che non possono non ricondurci a Caravaggio che fece scalpore per aver trasformato modeste ragazze in Madonne connotandole con la carnalità delle popolane unita alla metafisica della luce spirituale intrecciando sacro e profano con un risultato sorprendente. Non va neppure dimenticata la Madonna della seggiola di Raffaello, la più bella donna italiana, uno splendore di luce e carne, per la quale il pittore trasse spunto dalla fidanzata, la modella de La Fornarina, che con la pelle diafana e gli occhi luminosi incanta ancora chi la osserva.
Che abbiano gli occhi a mandorla orientaleggianti o verdissimi, o ancora neri e volitivi o marroni a cerbiatta, le Madonne sono sempre ideali di un assenza fisica e al tempo stesso onnipresenti nello spirito. E chi meglio dell’artista che rappresenta da sempre “la spinta misteriosa verso ciò che è assente” poteva cimentarsi con una assenza-presenza che spalma di luce ciò che la circonda.
La Madonna di Manara è carnale, si apre a tutti, ma non è di nessuno, è un ideale femminile. Lo sguardo dell’artista questa volta ha coinciso con lo sguardo dei senesi che hanno applaudito il dipinto per dieci minuti.
Capelli vaporosi al vento, chiome fluide, sguardo sensuale e al tempo stesso dolce, bocca carnosa ma senza nessuna volgarità e con il cavallo in basso quasi a rappresentare un prolungamento delle gambe, punto di incontro fra terra e cielo. Il suo sguardo e la vitalità che emana insieme a quello del cavallo che a sua volta evoca bellezza, agilità ed eleganza, oltre ad un gran senso di libertà, hanno da subito annullato le difese dei senesi già pronti a fischiare e sostenere con foga: “Un ci piace punto!” Ma questa volta non è stato così, lei è piaciuta con quel volto fresco pieno di tenerezza, incanto, bellezza e abbandono, con il quale sembra dire: “Eccomi sono di tutti voi e con tutti voi” mentre fa un gesto con la mano ad accompagnare la frase. “Ma sono con voi nell’assenza perché sono stata Assunta in cielo”. C’è una differenza fondamentale fra l’assenza e il vuoto. Il vuoto è un nulla, l’assenza è la nostalgia della memoria, un ricordo, un pensiero, un’immagine che ci accompagna, un pieno d’assenza dove lo spazio e il tempo vengono annullati.Nel momento in cui lei viene assunta in cielo sotto una luce color miele, il cavallo Remorex per la seconda volta vince il palio scosso, questa volta per la contrada della Selva.
Gli occhi un po’ socchiusi di questa Madonna che viene portata per le vie della città, ricordano Marilyn Monroe, la bocca carnosa evoca Brigitte Bardot, ma c’è un pudore sacro nel suo gesto, la Madonna detiene il senso del Sacro e si eleva verso il cielo fra una luce dorata e la volta celeste. Ciò che la caratterizza è il suo irradiare vitalità, è una Madonna viva così come il cavallo è elegante ed evoca la forza e la libertà. Da un punto di vista dello spazio, il gioco di luci e ombre è assolutamente armonico, i colori caldi più al centro con il rosso dell’abito che per strani rimandi della mente evoca l’arte ottocentesca e non solo, accanto al giallo. Sopra e di lato l’azzurro della volta celeste e in basso il color ghiaccio del cavallo.
Un perfetto gioco di vuoti e pieni connotano il Drappellone 2019, un arte al di qua e al di là, un’arte empatica dove i volumi, le linee, il peso del colore esprimono perfettamente l’assoluto e non solo ciò che a noi appare. La geometria spaziale e le figure si amalgamano perfettamente con un ritmo e una misura che appartiene all’arte antica ma con una visione moderna. Come poteva non piacere ai senesi. É giusto a volte corrispondere all’ideale di bellezza comune, così come è giusto che la Madonna scardini tutti gli stereotipi, cambi mille forme riflettendo l’anima degli artisti che la creano e allo stesso tempo i cangiamenti dei secoli.
La foresta di simboli fra cielo e terra esprime perfettamente l’unione dei poteri che viene evocata durante la carriera; i cavalli escono dal Comune che rappresenta il potere amministrativo terreno, per poi lasciare spazio al vincitore che si reca in Chiesa, Tempio sacro, per il Palio di agosto in Duomo, simbolo del potere celeste. In mezzo a loro il terzo potere; il popolo delle contrade che esprime il proprio assenso o dissenso. Un perfetta simmetria che evidenzia l’equilibrio delle tre parti. Questa è una delle funzioni importantissime del Palio di Siena; creare equilibri di microcosmi dove si accosta la tradizione di un evento che si rinnova da secoli e che crea un invisibile sistema di relazioni educando alla libertà di giudizio e che al tempo stesso custodisce una straordinaria concentrazione di opere della storia dell’arte.
Ogni volta è una sfida dove si cerca di spiegare l’inconoscibile attraverso foreste di simboli che evocano profumi, suoni, colori emozioni e perché no, anche ferite o feritoie, ombre e luci che richiamano i poemi epici dove le narici dei cavalli fiammeggiano emanando vapori ed emozioni e gli zoccoli battono sul tufo come nella contrazione di una colonna sonora formando un tutt’uno che vale più della somma delle singole parti. Come in nessuna opera d’arte un elemento può essere compreso senza l’apporto comunicante di tutti gli altri contenuti nell’opera globale, ogni fruitore estraneo che venga a vedere il Palio coglie solo in modo approssimato e parziale l’identità di un popolo, vede le ferite, lo osserva a volte con scetticismo. Così fu anche per Carlo Cassola che giunse a Siena come inviato per scrivere un articolo sul giornale presso il quale lavorava ma dopo pochi giorni rimase travolto e affascinato da questo connubio di colori e sensazioni che oggi come allora sono capaci di stupire… come la bellezza improvvisa di un volto femminile.