1° agosto 1976, circuito del Nürburgring. Niki Lauda perde il controllo della sua Ferrari e incappa in un incidente spaventoso, con la vettura che, dopo aver sbattuto contro un guard-rail esterno, rimbalza in mezzo alla pista e va in fiamme e il pilota che, essendo volato via il casco a causa della violenza dell’urto, perde conoscenza e inala ogni sorta di sostanza tossica, al punto che ancor più che delle ustioni i medici si preoccupano dei veleni che il campione austriaco ha inalato.
“Noi non possiamo fare nulla: il problema non sono le bruciature ma le esalazioni, i gas che ha respirato che l’hanno bruciato dentro. Se vuole vivere, deve farlo lui. Deve cercare di restare sveglio e lottare” riferiscono i sanitari all’allora direttore sportivo della Ferrari, un giovane Luca Cordero di Montezemolo, il quale non dimenticherà mai quelle parole, la paura di quei momenti e la straordinaria tenacia di un uomo, prima ancora che di un pilota, che sei settimane dopo si sarebbe ripresentato in pista, a Monza, sfidando la cautela dei medici, i timori degli osservatori e dei giornalisti per la sua salute, i consigli prudenti di quanti gli erano vicini e lo imploravano di non mettere ulteriormente a repentaglio la sua vita, le preoccupazioni dell’universo ferrarista e, sia detto senza alcun intento offensivo, le ragioni della logica e del buonsenso.
Chiunque altro, al posto suo, si sarebbe ritirato o comunque avrebbe lasciato trascorrere molti mesi prima di risalire a bordo di una vettura di Formula 1, dopo aver visto la morte in faccia ed essere stato salvato unicamente dalla generosità e dal coraggio di Arturo Merzario: un collega di Lauda che, vedendo la sua vettura avvolta dalle fiamme, senza nemmeno sapere di chi si trattasse, anziché proseguire la propria corsa, si fermò e si precipitò ad aiutarlo, scongiurando la tragedia e restituendo al panorama automobilistico uno dei più grandi fuoriclasse di tutti i tempi.
Perché Lauda non è stato solo un pilota audace: è stato, a modo suo, un rivoluzionario, dotato di un’irriverenza temeraria, di una voglia di correre e di primeggiare senza eguali e di una tenacia che gli ha consentito di non arrendersi di fronte a nulla, tanto che ancora oggi vive a pieno titolo nel circus della Formula 1 e, ovviamente, miete successi a raffica dispensando consigli all’invincibile Mercedes.
Senza contare che, per quanto sia vero che sarebbero dovuti trascorrere altri diciotto anni perché il cinico mondo della Formula 1 prendesse in considerazione il fatto che negli abitacoli di quei mostri tecnologici c’erano uomini e non robot, per quanto ci sia voluto il dramma di Ayrton Senna a Imola per convincere le varie scuderie a mettere a punto nuovi sistemi di sicurezza, in grado di tutelare l’incolumità del pilota anche in caso di incidenti gravi, nonostante ciò, va detto che il rogo che quasi inghiottì Lauda fu il primo campanello d’allarme, la prima scossa ad un mondo che, fino a quel momento, aveva considerato i suoi alfieri alla stregua dei circensi dell’Antica Roma: gladiatori buoni per l’arena, per lo spettacolo, per il divertimento, ai quali non era consentito di accampare particolari pretese né, tanto meno, di battersi per i propri diritti e per la tutela del bene più prezioso in assoluto.
Ricchi, famosi, osannati dalle folle ma, al tempo stesso, succubi e schiavi di interessi mille volte più cospicui, di ragionamenti che avvenivano ai piani alti, “là dove si puote ciò che si vuole”, di esigenze che erano quelle delle televisioni e degli scommettitori, dei padroni della sarabanda e dei loro galoppini, fino a quando questo campione austriaco, caratterizzato da una classe sopraffina e da un caratteraccio che definire spigoloso è dire poco, non trovò la forza di non correre in Giappone per via dell’eccessiva pioggia, lasciando il titolo mondiale a James Hunt e dimostrando senza alcuna remora di non essere solo un ingranaggio di un sistema più grande di lui ma di essere e di voler continuare ad essere, al contrario, il padrone delle proprie idee e delle proprie scelte.
Dalle fiamme del Nürburgring venne fuori un uomo diverso e un mito consapevole, senz’altro cosciente di star vivendo una seconda vita e di non poter sprecare, per nessun motivo al mondo, un’occasione che pochi hanno ricevuto in dono.
Niki Lauda, quarant’anni fa. Da quel giorno, il concetto di essere umano fece capolino nel dorato e mostruoso cosmo dei folli disposti a rischiare la pelle pur di provare l’ebbrezza della gloria e, per fortuna, per quanto ci abbiano provato in tutti i modi, nemmeno i padroni del vapore che dominano quel mondo sono mai riusciti a ricacciarlo indietro.