Prevenzione. Da screening neonatale a oncologico passando per i vaccini. L’Italia è divisa e distratta

Si spende molto per curare e troppo poco per evitare la malattia. Adolescenti e adulti ‘dimenticano’ il richiamo vaccinale mettendo a rischio i più piccoli

ROMA – Si sono conclusi ieri i lavori della dodicesima Conferenza nazionale di sanità pubblica organizzata dalla Società Italiana di Igiene e Medicina Preventiva e il panorama che ne è emerso per il nostro paese non è dei migliori. Se delle carenze e delle divisioni in tema di screening neonatale abbiamo parlato nei giorni scorsi, mostrando le gravi spaccature esistenti, vale la pena capire anche come stanno le cose in Italia per quello che riguarda la prevenzione di malattie più diffuse, a volta gravi, come i tumori al seno o alla cervice uterina, o un po’ meno gravi, ma ugualmente costose sia dal punto di vista sociale che da quello sanitario, come le infezioni da rotavirus e la pertosse.   Partiamo dal cancro.

I dati mostrati al congresso mostrano un’Italia a macchia di leopardo anche nella lotta a questi big killers. Basti pensare che per il cancro alla mammella, per quale dovrebbero esistere in realtà programmi uniformi di screening, i dati mostrano che vi è una differenza tra regione e regione anche nell’accesso alla mammografia. Questo esame da solo sarebbe in grado  di ridurre del 45 per cento la mortalità, eppure, mentre a nord, nelle zone in cui esiste un programma di screening, circa il 50 per cento dei tumori viene scoperto in fase precoce, questa percentuale scende al 30 per cento del meridione.
C’è poi un altro tumore, anche questo femminile, che desta molta preoccupazione e per il quale ancora non si fa abbastanza, il tumore alla cervice uterina, che nella stragrande maggioranza dei casi è causato da alcuni ceppi di HPV, il papillomavirus, che oggi possono essere sconfitti grazie alla vaccinazione.
Attualmente questa vaccinazione è offerta gratuitamente e attivamente alla bambine di 12 anni, età in cui gli studi dimostrano ci sia la maggiore efficacia vista anche l’opportunità di attivare la protezione prima che cominci l’attività sessuale che porta alla trasmissione del virus.

Di questo argomento ha parlato, nel corso di un incontro organizzato da Glaxo (GSK),  il prof. Giovanni Gabutti dell’Università di Ferrara. “Le armi per ridurre il rischio di tumore alla cervice uterina sono due: la vaccinazione preventiva e l’applicazione ancora più diffusa dello screening basato sul pap-test. Non c’è motivo di anticipare l’età del pap test, oggi fissata a 25 anni, l’importante è che venga eseguito ogni 3 anni. Il problema è far sì che tutte le donne lo eseguano”. Evidentemente anche in questo non siamo ancora a pieno regime visto che ci sono circa 3000 nuovi casi l’anno di carcinoma alla cervice uterina diagnosticati e oltre 1000 morti.    

Al di fuori dei tumori ci sono però altre malattie che hanno un grosso impatto sulla salute pubblica e anche sulla sanità, ne sono un esempio le infezioni da rotavirus – il virus che causa la forma più diffusa di diarrea e vomito tra i bambini piccoli – e la pertosse, che grazie alle vaccinazioni introdotte nel passato è ormai oggi una malattia rara tra i bambini ma che proprio in questi anni ha allarmato gli epidemiologi per la sua capacità di presentarsi e diffondersi tra gli adulti.

Partiamo dal Rotavirus, causa ogni anno di circa 400.000 casi di infezione nei bambini da 0 a 5 anni.
“Il rischio maggiore di questo virus – ha spiegato la professoressa Elisabetta Franco dell’Università di Tor Vergata,– è quello della disidratazione, che per un bambino piccolo può essere molto più pericolosa e dar luogo a gravi complicanze, in alcuni casi anche la morte. Solo questa infezione ogni anno produce circa 50 mila visite di pronto soccorso concentrate nei mesi invernali”. Complessivamente si stima che l’infezione costi 35 milioni di euro l’anno di costi diretti, che calcolando anche quelli indiretti dovuti alla perdita di giornale di lavoro salgono a 135mila, il tutto per una malattia che potrebbe essere prevenuta semplicemente con un vaccino somministrabile per via orale in due o tre dosi tra il 3 e il 5 mese di vita.
In Belgio, dove questa vaccinazione è stata avviata da tempo, i ricoveri per questa causa sono stati ridotti dell’80 per cento. Nonostante sia fortemente raccomandata dai pediatri la vaccinazione contro questo virus non viene offerta in maniera attiva e gratuita in tutto il territorio ma solo in alcune circoscritte realtà.   

Diverso il discorso della pertosse, un tempo spauracchio delle neo mamme, poiché fino a pochi anni fa ne venivano colpite 4 persone su 5, una malattia che se colpisce il neontato può provocare anche danni neurologici.
“Oggi – ha spiegato il prof. Paolo Bonanni, direttore dell’Istituto di Igiene dell’Università di Firenze – vacciniamo benissimo nel ciclo di base da praticare entro il primo anno, bene anche nel richiamo da effettuare a 5 anni mentre il gap si apre sugli adolescenti. La protezione data dalla vaccinazione o dalla malattia si riduce con il passare degli anni, per questo si raccomanda una dose di richiamo ogni 10 anni, come per la difterite e il tetano. Se non si effettuano i richiami previsti cresce il  rischio di avere adulti affetti dalla malattia  che possono infettare i neonati, per i quali la malattia è particolarmente pericolosa. Per questo stiamo promuovendo un progetto che punta a vaccinare tutti quegli adulti che sono più vicini ai neonati, in primis i genitori”.

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