Noi, fiji de’ mignotta: i veri esclusi dal governo dei tecnici

RAVENNA – Come da copione, non appena giunto sotto la soglia dei 315 voti, il presidente della Repubblica – giocando tra il detto e il malinteso – è riuscito a farsi rassegnare le dimissioni da un intorpidito signor B. che, più suonato di un pugile suonato, dimentico della sua più che solida maggioranza in Senato; con le sue aziende “sotto botta” in borsa; si è fatto si da parte ma, sfruttando la foja dell’opposizione multicolore a Montecitorio, è riuscito a farsi approvare una finanziaria (patto di stabilità) “lacrime e sangue” in sole 48 ore con, addirittura, il sovrapprezzo del voto favorevole degli 80 deputati terzopolari, sacrificatisi per paura che il cavajere si ritrovasse, sabato 12, con più voti dei 308 “conquistati” l’8 novembre.

Sul disarcionamento del cavajere, in questi giorni, si è fatto un gran parlare e, insieme alle molte patetiche rivendicazioni di paternità (false! visto che il governo non è mai stato realmente sfiduciato), in molti si sono pronunciati ampollosamente per la fine del ciclo; la cacciata del tiranno; la Liberazione nazionale tutta ancora da dimostrare.

Le stesse scene di giubilo del popolo “viola” davanti a Palazzo Grazioli e al Quirinale, oltre che fuori luogo e, diciamolo pure, ridicole (ci liberino questi giovani “azzeccagarbugli dell’impegno civile”, dalle loro smanie di “resistenti da salotto”) che appaiono più eredità delle curve dell’Olimpico e del “Benelli” che non delle lotte della società civile e dei militanti politici.

Non si capisce, infatti, cosa ci sarebbe da gioire rispetto all’inciampo di un arricchito signorotto di provincia il quale, diventato più ingombrante che inutile, è stato sostituito da un tecnocrate, pluridecorato e plurimansionato al punto da poterlo tranquillamente definire un Grand Commis ora insignito del “grado” necessario e chiamato a fare il lavoro “sporco” dai veri padroni del vapore occidentale.

Una gioia ancor più ridicola perchè lui, il cavajere non solo non ci pensa a mettersi in disparte (domani, sembra sia lui a fare la dichiarazione sulla fiducia al governo) ma, soprattutto, sa di essere caduto per meriti presidenziali e non per la lotta delle opposizioni nel Parlamento e nel Paese. Sa, altresì, che a meno di un miracolo (Prodi (?)), dopo essersi sporcata le mani con le “risposte” da dare al “Fondo”, all’Unione e alla Germania, l’opposizione non sarà in grado di andare oltre la prestazione del 2006 e stavolta anche senza coalizione né programma.

Sull’operazione “governo del presidente”, che di fatto sospende modificando la Carta del ’48, le garanzie costituzionali e la sovranità popolare, ho già avuto modo di dire tutto il male possibile senza, peraltro, dover necessariamente attendere le dichiarazioni programmatiche del neo premier. Ora, però, vista la compagnia con cui sono venuto a trovarmi (prevedibile e prevista) sento il bisogno, prima che qualche genio mi accomuni ai campioni della destra becera, sciovinista, anti europeista e forcaiola, di chiarire che almeno per il momento non mi iscriverò al “partito degli schizzinosi a tutti i costi” né a quello dei “bastian contrari per partito preso” sia perché, al punto a cui eravamo arrivati, anche la nomina del cavallo di Caligola a senatore a vita con l’incarico di formare un governo di “salute pubblica” sarebbe stato meglio di quello degli homini ridens. E lo so bene!

Sento l’esigenza, dunque, di inserirmi nel dibattito-riflessione collettiva, che un pò dappertutto e anche nella nostra redazione si è andata articolando sotto forma di “Forum”, in cui si sono confrontate le più disparate posizioni: da quelle più possibiliste e aperte al nuovo dei colleghi/compagni di più “recente iscrizione anagrafica” che hanno aperto una linea di credito al nuovo esecutivo in nome del modernizzazione del Paese; a quelle più segnate dallo scetticismo dei “vecchi del bosco” che vedono nel nuovo Governo semplicemente una possibilità di riduzione del danno da “default” per la povera gente.

Ad uno come me, cresciuto nella lotta ai bancarottieri di professione che lasciavano i lavoratori in balìa dei creditori, con le “mesate” da percepire e il TFR a carico dell’INPS, la parola “default” non mette paura: anche perché non riesco a concepire come possa peggiorare la condizione di chi, precario, per vivere fa conto sulla pensione dei suoi genitori che, per risolvere la questione “spread”, il tecnocrate vorrebbe tagliare. In secondo luogo perché – come Gaber – sono sempre più orientato a cercare di scoprire con chi abbiamo il debito di 1.900 miliardi di euro e se scopriamo “che è uno che conta poco, possiamo decidere di avergli fatto il “pacco”.

Mi preme, invece, esprimere ciò ho provato in questi giorni di frenetico tifo, quando il neo capo del governo ha presentato la sua squadra fatta di persone a modo, per bene, educate e, a prima vista, vivaddio, ben diverse da “quelli di prima”.

Ebbene, pur in questa profonda diversità con il prima, il senso di fastidio, di disagio che ho provato è stato lo stesso di quando il 17 marzo del 1981 venimmo a conoscenza dei quasi mille nomi dei fratelli massoni del sor “Licio”.

Oggi, come allora, scorrendo l’elenco ho trovato: avvocati, faccendieri, professori; banchieri, ammiragli, diplomatici, prefetti e poliziotti. Oggi come allora, non un operaio, un tecnico, ‘n’impiegato, ‘na massaia, ‘n’artigiano. Niente, nun ce n’era manco, dico una de persona normale, una di quelle che per vivere devono lavorare: veramente! Incapaci ed inutili, allora per la cospirazione come oggi per indicare strade nuove di governo del paese.

E allora, oggi come allora, me so’ sentito un fijo de ‘na mignotta; uno dei tanti boni pe’ porta’ l’altare in processione; carne da cannone capace solo di gioire festosi al passaggio de’ potenti. Senza nemmeno, stavolta – rispetto ad allora – la speranza de svorta’ la vita co’ la lotta e l’impegno collettivo.

Pessimista? Forse. In verità mi chiedo come facciate voi ad essere così ottimisti.

Buon lavoro, comunque, professore e la prego: almeno faccia presto e con delicatezza.

P.S. Vorrei segnalare al neo premier, qualora “avanzasse” un posto per il ministero della cultura, il nome del dottor, professor Tonino Tosto, vice presidente dell’Università Popolare di Roma. Mio amico, mentore e maestro di cui – non me ne voglia – ho utilizzato l’idea di una delle sue poesie, in vernacolo, tra le più belle.

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