Monti. Un anno di governo, ma l’Italia non riprende fiato

ROMA – E’ difficile pensare a un compleanno dolente, per gli italiani, come quello di questo governo. E’ infatti un anno che Monti e i suoi ministri si trovano alla guida del paese.

Ogni giorno gli indicatori economici sono in negativo. Stiamo assistendo al superamento di ogni record, all’abbattimento di ogni muro ma sempre in peggio con una costanza impagabile. A qualcuno va male qualcosa, all’Italia va peggio. Forse non siamo caduti nel baratroco ma non  ce ne siamo allontanati

Commercio estero. Cala l’export e crolla l’import

Chiaro segnale di un generale rallentamento dell’economia, a settembre il commercio estero del nostro Paese, pur registrando un avanzo commerciale di 408 milioni fa segnare rispetto al mese precedente una flessione per entrambi i flussi commerciali, con l’import che fa -4,2% e l’export che fa -2,0%.
In Europa a settembre rispetto ad agosto, secondo i dati che sono stati diffusi oggi da Eurostat, l’ufficio statistico della Unione europea, le esportazioni sono diminuite dell’1,1% e le importazioni del 2,7%.

 Europa.Meno auto immatricolate. In Italia peggio
Secondo le rilevazioni dell’Acea, l’associazione dei produttori europei di auto, nei paesi dell’Unione Europea e nei tre paesi dell’area cosiddetta Efta, Islanda, Norvegia e Svezia, in ottobre le immatricolazioni di autovetture calano del 4,6% e scendono sotto il milione di pezzi, a 998.899 unità, facendo seguito al calo dell’11% avvenuto a settembre. In Italia a ottobre le immatricolazioni sono invece crollate del 12,1% a 134.994 unità. Nei primi dieci mesi del 2012 il calo del mercato europeo e’ stato del 6,9% a 10.722.859 unità e secondo l’Unrae ben 2 punti di questo tracollo continentale sono il contributo del nostro Paese

Costruzioni. Impressionanti i dati del crollo

Il settore delle costruzioni continua a soffrire e produrre dati nerissimi. A settembre, l’indice della produzione nel settore è diminuito, secondo le rilevazioni diffuse oggi dall’Istat, rispetto al mese precedente, dell’8,0%.
Nella media del trimestre luglio-settembre l’indice ha invece fatto registrare una flessione del 2,0% rispetto al trimestre precedente.
Sempre secondo i dati Istat l’indice, corretto per gli effetti di calendario, a settembre 2012 e’ diminuito in del 17,8 rispetto a settembre 2011.
Nella media dei primi nove mesi dell’anno la produzione si e’ ridotta del 14,0% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Produttività. La CGIL non vuole la rottura ma potrebbe non firmare

Il leader della Cgil, Susanna Camusso, ha scritto a presidenti di imprese, banche e assicurazioni, oltre che agli altri leader sindacali per “formalizzare i problemi ancora aperti nel negoziato cosiddetto sulla produttività” che la CGIL giudica “non risolti dalle risposte ricevute nell`incontro della settimana scorsa.”
Cuore del problema resto i nodi irrisolti su democrazia e rappresentanza con la ricomposizione dei tavoli separati a fare da bussola, oltre che la contrattazione di secondo livello e la sua esigibilità. A pesare continua però l’”esistenza di un tavolo contrattuale, quello di Federmeccanica, dove non partecipa la nostra organizzazione di categoria. Ciò sarebbe facilmente affrontabile con la convocazione della Fiom Cgil ai prossimi incontri programmati”.
Oltremodo responsabile la posizione cigiellina che accetta salari differenziati per merito ma contemperandola con le necessità dei lavoratori soprattutto in un momento come quello odierno “la determinazione di una politica salariale più orientata alla produttività, tema da tempo presente nella contrattazione, deve trovare una sua composizione con la tutela del potere di acquisto, funzione essenziale del contratto nazionale di lavoro che trova espressione nei minimi contrattuali. Tema ancor più rilevante in presenza della crisi, della diminuzione dei consumi e di un`assenza di politica dei redditi”.
Sull’esito della contrattazione è pessimista il segretario della Fiom Maurizio Landini che prevede un accordo privo della firma della CGIL.

Censis. I lavoratori italiani hanno paura della pensione
Il modo migliore per comprimere i consumi di chi comunque detiene un reddito è creare delle aspettative negative sul futuro di quella persona e dei propri cari. In questo i governi del nostro Paese sono stati bravissimi ed oggi sono veramente pochi coloro i quali assegnano un minimo di affidabilità al proprio futuro pensionistico. Il Censis ha reso nota oggi l’anticipazione dei risultati di una indagine realizzata per la Covip. A prescindere dalla situazione attuale con 11,6 milioni di pensionati con pensione di vecchiaia, una buona parte dei quali, oltre quattro milioni più del 35 per cento, beneficia di un assegno pensionistico inferiore a mille euro e di questi, 741 mila (il 6,4 per cento) con meno di 500 euro al mese è l’aspettativa sul futuro che fa raggelare.
Secondo lo studio infatti, i lavoratori italiani attualmente in attività pensano che quando andranno in pensione avranno una pensione pari in media al 55 per cento del proprio reddito attuale. Un po’ più bassa l’aspettativa dei giovani di 18-34 anni, che prevedono che avranno una pensione pari al 54 per cento del reddito. Il 24,5 per cento ritiene che non potrà avere una viva agiata ma potrà togliersi qualche sfizio ed il 21,5 per cento descrive una situazione molto incerta, solo l’otto per cento pensa che potrà godersi un po’ di serenità grazie a buoni redditi.
Agghiacciante la rassegnazione degli italiani di fronte al continuo scippo delle pensioni, ben l’84 per cento dei lavoratori italiani è infatti convinto che le regole della previdenza cambieranno ancora e la loro variabilità genera, ovviamente, inquietudine.

Una ulteriore fonte di inquietudine è l’insicurezza riguardante il percorso professionale, e quindi previdenziale, personale: il 34 per cento dei lavoratori in generale ed il 41 per cento tra i dipendenti privati, teme di perdere il lavoro e di rimanere senza contribuzione, il 25 per cento pensa che dovrà affrontare una fase di precarietà e di contribuzione intermittente, il 19 per cento ritiene che avrà difficoltà a costruirsi fonti di reddito diverse dalla pensione pubblica.

 

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