Arte. Intervista a Luca Peyrano, restaurare opere per aiutare l’economia

 

Il progetto di Borsa Italiana: «Speriamo che altre società ci seguano, vogliamo fare da catalizzatori»

 

MILANO – Borsa Italiana si fa promotrice di una raccolti fondi tra i suoi investitori internazionali per il recupero di dieci dipinti e 21 affreschi ora nei depositi della Pinacoteca di Brera. A Piazza Affari, abbiamo incontrato Luca Peyrano, responsabile del Mercato Primario per l’Italia e l’Europa Continentale del London Stock Exchange Group, del quale Borsa Italiana è parte. Con lui abbiamo parlato del recupero del Conte Antonio di Porcia di Tiziano, finanziato da Borsa Italiana, ma soprattutto del più ampio e ambizioso progetto di cui esso è parte, presentato in occasione del Luxury&Finance 2014, il road show organizzato in collaborazione con Vogue Italia dove le società del mondo della moda e del lusso Made in Italy incontrano gli investitori internazionali.

 

Perché avete finanziato voi il primo restauro?
«Borsa Italiana è al centro di un network che è la comunità finanziaria imprenditoriale italiana. Abbiamo 300 società quotate, svariate centinaia con cui parliamo per raccolta di capitale; abbiamo oltre cento intermediari e banche con cui quotidianamente lavoriamo e migliaia di investitori. Ci siamo detti: cominciamo a fare il primo gesto, che è stato quello di instaurare una collaborazione strutturata con la Pinacoteca di Brera. Insieme abbiamo individuato un’opera d’arte importante che richiedesse un intervento di restauro e, prima ancora di chiedere alla nostra comunità di fare uno sforzo, lo abbiamo fatto noi: in due momenti successivi, attraverso la nostra fondazione, London Stock Exchange Group, abbiamo dato un contributo di oltre 90 mila euro a beneficio del laboratorio di restauro e una seconda tranche per digitalizzare ad altissima definizione circa cento capolavori di Brera, che da oggi sono visitabili sul sito della Pinacoteca. Ciascuna immagine può arrivare a 24 miliardi di pixel: si vedono dettagli che a occhio nudo non si potrebbero vedere».

Oltre al Tiziano c’è di più.
«Abbiamo voluto realizzare un’operazione ancora più ambiziosa, che abbiamo chiamato Finance for Fine Arts. La Borsa Italiana siede al centro di un network molto vasto di investitori. Con il recupero del Tiziano abbiamo voluto dare un segnale simbolico e abbiamo chiesto alla Pinacoteca di selezionare per noi dieci opere dei depositi che richiedessero un intervento di restauro e, insieme a Vogue che ha curato il progetto editoriale, ne abbiamo fatto un catalogo e in corrispondenza di ogni opera (dieci dipinti e un ciclo di 21 affreschi), c’è la richiesta di un contributo, che finanzia il restauro dell’opera, la digitalizzazione di essa in alta definizione, e restituisce a coloro che vorranno fare questo gesto di mecenatismo una serie di benefici, tra cui la possibilità di usare l’immagine per due anni in esclusiva per loro campagne di comunicazione, non per ragioni commerciali, ma almeno per posizionare il loro brand avvalendosi di qualcosa di bello. E poi altri vantaggi indicati nel catalogo».

Qualche società si è già fatta avanti?
«Sì. Le società, per altro di dimensioni non particolarmente grandi, si sono fatte avanti. Potrei fare qualche nome ma per adesso preferisco di no visto non c’è stato il tempo materiale di ufficializzare il tutto: i materiali li abbiamo consegnati ieri sera alle 22,30, nessuno ancora ha ufficialmente siglato l’impegno finanziario. In più alcune società preferiscono mantenere l’anonimato. Li diremo se loro vorranno, siamo cauti. Ma ci sono».

Quanto resterà il Tiziano a Piazza Affari?
«Soltanto due giorni. Abbiamo dei problemi di collocazione e valorizzazione. Ma adesso ci stiamo organizzando ed entro qualche mese allestire un’area che possa ospitare per più tempo varie opere più regolarmente. In questo momento non vogliamo invece dare un messaggio speculativo e poi magari metterlo in un angolo, non visibile».

Dopo il restauro le opere dove andranno?
«Secondo gli accordi che abbiamo con la Pinacoteca le opere restaurate verranno valorizzate, esposte nel museo e in mostre temporanee. Noi stessi a fine ciclo porteremo le dieci opere qui da noi in modo esclusivo».

Le società che le restaurano potrebbero ospitarle?
«Ci piacerebbe che fosse così ma ci sono dei vincoli, alcuni di tipi oggettivo: sappiamo che le opere soffrono quando si spostano, quindi alcune possono farlo facilmente, altre no. Detto questo c’è anche qualche barriera di tipo tecnico-normativo e a volte culturale. Anzi, più di tipo culturale che altro. Rispettiamo la posizione di una soprintendenza che vive di presidio delle nostre opere, ma è bello pensare di poter accostare a questo spirito di tutela uno spirito di valorizzazione più spiccato. Noi lo stiamo facendo con il massimo delle garanzie: il Tiziano è stato assicurato, c’è la teca che abbiamo fatto costruire appositamente, il tutto ci è costato non poco. Ma il ritorno c’è: quando gli investitori vengono qui e al posto di trovare il solito analista noioso o il direttore finanziario trovano un Tiziano che li aspetta, l’immagine dell’Italia che ne esce è di tutt’altra portata».

Voi finanzierete il recupero di altre opere?
«Sì può darsi. Senz’altro saremo parte attiva per stimolare altri operatori a farlo. Il vero interesse è creare l’effetto di sistema e creare un volano. Questa è un’iniziativa di sistema, ci piace l’idea di coltivare un’azione catalizzatrice di risorse. Poi la cosa incredibile è gli interventi non costano tanto. Per le società sono cifre accessibilissime. Senza contare che per una società molto piccola è un investimento intelligente, che per altro può far uso dell’incentivo fiscale dell’Art Bonus».

Quante difficoltà avete trovato in termini di vincoli?
«Con Brera pochissime. In termini di mentalità nessuna, ma ci sono dei problemi strutturali. Per esempio: Brera non ha un conto corrente, abbiamo dovuto ingegnarci per fargli arrivare i soldi. Brera non è in grado di accettare sponsorizzazioni. Per fortuna esistono gli Amici di Brera che li prendono e glieli danno, ma non tutti hanno gli Amici. Bisogna pensare a strutture come questa, e ne abbiamo parlato anche con il ministro Dario Franceschini che ieri (l’8 ottobre ndr) era qui. Si è dimostrato molto orientato in questa direzione e ha già dato segnali concreti. Bisogna semplificare la banale operatività per far arrivare soldi, è cruciale. I problemi culturali li superiamo in qualche anno, ma quelli burocratici rischi di non superarli più».

E la moda?
«Abbiamo preso una sezione delle immagini digitalizzate e creato un percorso della moda presentato ieri sera alle nostre società quotate del mondo del lusso: l’iter rende visibile il filo rosso tra arte, moda, made in Italy e stile».

 

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