Borse UE in rialzo, Italia al palo; Eurozona in ansia per la crescita

TRIESTE – Hong Kong paralizzata dalla rottura delle trattative tra le autorità ed il fronte di protesta studentesco pro-democrazia, Siria ed Iraq sotto la minaccia estremista dell’Isis, Ucraina divisa tra una ripresa sottotraccia del conflitto e la minaccia di nuove sanzioni incrociate, Cina in affanno sulle riforme, Eurozona in frenata: tutte le maggiori aree economiche sono alle prese con dei problemi strutturali enormi che impediscono ai mercati di ripartire. 

La sensazione generale è che si stia avvicinando una nuova fase che caratterizzerà i prossimi anni, fatta di ritorni di Borsa molto più bassi rispetto a quelli registrati dal 2008 ad oggi, con spostamenti di paradigma più frequenti che si tradurranno in una maggior volatilità. I possibili scenari futuri sono sostanzialmente quattro: secondo il primo cresceremo di più e pagheremo questo sviluppo con l’inflazione (con i tassi alti a creare gravi difficoltà ai debitori più deboli), posizione bilanciata da quanti credono all’opposto ad una crescita maggiore accompagnata invece da poca inflazione; la terza ipotesi riflette la situazione attuale, con i listini che continueranno inerzialmente a salire per effetto dell’espansione dei multipli; per ultima l’alternativa “catastrofista”:  gli sforzi di riaccelerazione falliranno e precipiteremo nella deflazione.

Quale che sia il futuro che ci attende, oggi il segno “meno” domina i mercati internazionali, soprattutto nel Vecchio Continente; dopo la Francia, con le sue previsioni di deficit ben oltre la soglia comunitaria del 3%, dopo all’Italia, zavorrata dal debito pubblico e dall’incapacità di trovare il bandolo della matassa per uscire dalla crisi, adesso è il turno della Germania di trovarsi nell’occhio del ciclone: l’andamento dell’economia continua a dare segnali negativi e sembra avviarsi al secondo trimestre consecutivo di dinamica negativa per il PIL. Considerato che nel secondo periodo del 2014 il Prodotto Interno tedesco aveva registrato un meno 0,2%, una nuova rilevazione negativa porterebbe Berlino tecnicamente in una fase recessiva: un bel paradosso per i paladini del rigore Angela Merkel e Wolfgang Schaüble, suo “falco” e ministro delle Finanze, da sempre contrari alle richieste “spendaccione” di quanti chiedevano di impegnarsi di più per la crescita accantonando temporaneamente i vincoli di bilancio. La criticità del momento attraversato dall’economia tedesca è stata impietosamente confermata dai dati pubblicati la scorsa settimana: tonfo degli ordini all’industria (-5,7% su base mensile, il peggior andamento dal 2009 ad oggi) e frenata della produzione industriale (-4% su base mensile), alle quali si deve aggiungere il forte calo delle esportazioni (-5,8%).

L’aggiornamento delle tabelle del World Economic Outlook, il rapporto sull’economia globale redatto nell’ambito degli “annual meetings” del Fondo Monetario Internazionale (FMI), non ha fatto che confermare le differenti velocità con cui si stanno muovendo Europa e Stati Uniti: riguardo alla prima si legge che «La ripresa debole accelererà gradualmente, sostenuta dalla riduzione del peso fiscale, da politiche monetarie accomodanti e da condizioni in miglioramento nella concessione dei prestiti CPN una forte riduzione degli spread per le economie sotto stress», anche se l’istituto di Washington DC precisa che le «prospettive sono squilibrate tra i paesi». Relativamente alla prima economia al mondo, restano invece in atto le condizioni per una forte accelerazione della ripresa: una politica monetaria accomodante, condizioni finanziarie «favorevoli», un peso fiscale «ridotto di molto», il miglioramento dei bilanci delle famiglie e un mercato immobiliare residenziale «più in salute».

Un capitolo del WEO è stato riservato alle Banche centrali: alla Banca Centrale Europea (BCE) si chiede la disponibilità a nuovi interventi:  se le prospettive di inflazione non dovessero migliorare «la BCE dovrebbe fare di più, incluso l’acquisto di attività sovrane», di fatto un invito al Quantitative Easing. Sull’altra sponda dell’Atlantico invece, dove l’economia americana ha ripreso ad accelerare grazie al combinato sforzo dell’amministrazione USA e delle mosse della Fed, il processo di normalizzazione della politica monetaria procederà «agevolmente» e senza aumenti ampi e protratti nella volatilità dei mercati finanziari.

Nella serie dei suoi interventi, il Fondo Monetario Internazionale ha rivisto la stima sul debito pubblico in Italia, che dovrebbe attestarsi al 136,7% del PIL nell’esercizio in corso e al 136,4% nel 2015, mentre le precedenti stime indicavano un debito pubblico rispettivamente pari al 136,4% e al 135,4% del PIL; rivista anche la stima del rapporto deficit/PIL, attesa al 3% per l’esercizio corrente ed al 2,3% (anziché al 2,1%) per quello seguente.

L’ente di Christine Lagarde ha riletto le attese sull’inflazione del Belpaese, un +0,1% quest’anno (dal precedente +0,4%) ed una crescita di mezzo punto percentuale, la metà del tasso indicato in precedenza, per il 2015, mentre ha confermato le attese sul tasso di disoccupazione: al 12,6% nel 2014 per poi passare al 12% nel 2015.

Il tema occupazionale è anche al centro dell’interesse di tutti i principali banchieri internazionali: in un discorso preparato per il settantesimo anniversario della nascita dell’istituto di Washington, il numero uno del FMI ha sollevato la necessità di «rendere il mercato del lavoro più inclusivo», adottando «politiche attive del mercato del lavoro e programmi di training per aiutare i giovani» e «più misure a favore della famiglia come accordi di lavoro flessibili per attirare più donne nella forza lavoro».

Anche Mario Draghi ha trattato di disoccupazione nel suo discorso, affermando che il tasso di «senza lavoro rimane alto» nella Zona Euro, «con una grande capacità» produttiva «inutilizzata»; quanto alla disciplina di bilancio si è detto d’accordo con il FMI «sulla necessità di dare la priorità a investimenti pubblici efficaci che aumentino la produttività, pur tenendo conto dello spazio fiscale limitato» di alcuni paesi dell’Eurozona.

«La crescita è troppo bassa per ridurre la disoccupazione, non possiamo ritardare le riforme strutturali», ha aggiunto il presidente della BCE «Non vedo un’uscita dalla crisi a meno che non ci sia fiducia nel futuro potenziale delle nostre economie». Serve dunque una spinta per far ripartire il lavoro, con i Paesi che non hanno spazio di manovra fiscale chiamati a stimolare la domanda «modificando la composizione del bilancio, in particolare tagliando allo stesso tempo le tasse distorsive e le spese improduttive». «Chi non riforma sparirà», questo il monito di Draghi all’Eurozona.

Secondo Andrea Montanino, direttore esecutivo del Fondo Monetario Internazionale che ha presentato il rapporto dell’istituto sull’Italia, la finanza pubblica italiana è tra le più sane del mondo, anche se «alle condizioni attuali, non è un Paese con prospettive di crescita tali da poter avere un futuro economico non già radioso ma nemmeno sereno». Nonostante siano gli stessi economisti di Washington a sottolineare come il Belpaese abbia «l’avanzo primario più elevato tra le economie avanzate» (sono più di vent’anni che l’Italia ha un saldo primario positivo, con le sole Norvegia e Singapore a stare meglio), secondo Vito Gaspar, capo del dipartimento Affari Fiscali, l’Italia «ha bisogno di una riforma strutturale complessiva che coinvolga la pubblica amministrazione, il funzionamento del sistema giudiziario, il mercato del lavoro, il mercato dei servizi e anche le privatizzazioni»: praticamente, bisogna rivedere tutto.

Al di là della crisi economica europea, l’elemento di maggiore nervosismo sui mercati internazionali resta la fase di transizione della politica monetaria della Fed: per quanto la tempistica del rialzo dei tassi si stia avvicinando, non va però trascurato che il recente ribasso delle aspettative di inflazione (conseguenza anche del rafforzamento del dollaro, che tra l’altro ha anche un effetto restrittivo sull’economia americana) e l’assenza di pressione salariale (come confermato dai dati sul mercato del lavoro) potrebbero fornire ulteriore supporto all’approccio “dovish” della Fed, una prospettiva che non sarebbe sicuramente sgradita ai mercati azionari.

Fatta eccezione per la pubblicazione del bollettino BCE del mese di ottobre (seguita dalla consueta conferenza stampa di Mario Draghi), per la riunione del G-20 dei Ministri delle Finanze e dei banchieri centrali  e per la riunione annuale della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, la scorsa ottava di Borsa si è presentata piuttosto scarica di appuntamenti di rilievo.

Lo scorso giovedì la Bank of England non ha modificato la propria politica monetaria, mantenendo il saggio di riferimento allo 0,5%, fermo ai livelli del marzo 2009, lasciando nel contempo invariato a 375 miliardi di sterline l’ammontare del programma di acquisto di titoli di stato (Quantitative Easing).

La produzione industriale in Italia è aumentata dello 0,3% rispetto a luglio, anche se la media del trimestre giugno-agosto è diminuita dello 0,3% rispetto al trimestre precedente, dato inferiore alle attese degli analisti.

Secondo i dati mensili di Bankitalia, l’esposizione complessiva degli istituti di credito ai fondi BCE è in crescita: a settembre era pari a 173,92 miliardi di euro, in salita dai 163,81 miliardi di fine agosto. A questo proposito un report dell’agenzia Fitch relativo ad uno scenario di deflazione nella Zona Euro indica che la redditività delle banche del Vecchio Continente sarebbe a rischio, con gli istituti dei paesi periferici ad essere penalizzati per primi.

Venerdì scorso l’agenzia DBRS ha confermato il rating sul debito sovrano dell’Italia, fissato ad “A” (low): gli esperti hanno apprezzato la volontà del governo di accelerare sulle riforme strutturali del Paese, confermandolo tra gli emittenti non speculativi. Le prospettive sul rating per i prossimi trimestri restano comunque “negative”, poiché il debito pubblico resta elevato e le prospettive di crescita economica fragili.

Settimana pesante per le Borse europee quella compresa tra il 6 ed il 10 ottobre, condizionata dalle preoccupazioni delle Banche centrali sulla ripresa mondiale e con gli operatori impensieriti per la situazione dell’economia europea, visti i brutti dati che hanno riguardato la Germania (la performance peggiore, non a caso, è stata quella di Francoforte). Ottava disastrosa anche per Piazza Affari, incapace di un qualsiasi rimbalzo nelle ultime cinque settimane, che ha ceduto il 4,9% allineandosi ai ribassi registrati dai listini internazionali, che hanno bruciato 1.500 miliardi di dollari (3.500 se si risale alla metà di settembre); da inizio 2014 il rialzo dell’indice di Milano si è così ridotto all’1,2%.

Quest’oggi l’apertura della nuova ottava ha assistito al tentativo delle principali Borse europee di invertire la rotta dopo settimane difficili, contrassegnate dai segnali di debolezza dell’economia globale, ma le preoccupazioni sulla crescita della Zona Euro, con l’agenzia S&P che ha tagliato a negativo l’outlook sul rating francese, hanno penalizzato ancora le piazze della regione dopo la difficile giornata precedente. Gli operatori hanno proceduto con qualche ricopertura dopo le vendite di venerdì, quando il “sell off” è stato probabilmente esagerato, tanto che al giro di boa la seduta procedeva con il segno più, ma il cambio di direzione di Wall Street dopo una partenza in crescita ha spinto al ribasso gli indici azionari europei che, sul finale, hanno saputo trovare il giusto colpo di reni: Parigi (+0,12%), Francoforte (+0,27%), Madrid (+0,36%), Londra (+0,40%).

Niente rimbalzo invece per Piazza Affari (FTSE Mib -0,32%, FTSE Italia All Share -0,36%), che ha confermato l’intonazione negativa della scorsa settimana; riflettori puntati su Luxottica (-9,23%), con il titolo del colosso dell’occhialeria che non riusciva a fare prezzo in apertura dopo le dimissioni dell’amministratore delegato, Enrico Cavatorta; scivoloni anche nel comparto del lusso e di due big del calibro di Telecom Italia (-1,99%) e Generali (-1,52%), che continuano la loro fase negativa. 

Esordio milanese per FCA (Fiat Chrysler Automobiles, ex Fiat): le azioni del nuovo gruppo hanno segnato in apertura 7,15 euro, un rialzo del 3% sulla chiusura di venerdì, per poi chiudere in progresso dell’1,22% a 7,025 euro; il cambio della guardia sul listino è arrivato dopo che da ieri è divenuta efficace la fusione di Fiat Spa in FCA, holding del gruppo italo-americano Fiat Chrysler, con il titolo che sta andando bene anche a New York.

Sul fronte del debito sovrano senza scosse la differenza di rendimento tra il titolo decennale italiano (Btp settembre 2024) ed il corrispondente omologo tedesco, oggi a 144 Bp (Basis point, punti base) per un rendimento del 2,33%. Invariato lo spread tra il Btp e il Bund tedesco con scadenza a due anni, fermo ai 52 Bp della chiusura di venerdì per un rendimento dello 0,47%.

Lo spread tra titoli spagnoli decennali e Bund tedeschi ha chiuso a 119 punti base, pari ad un rendimento del Bonos del 2,08%.

Concludiamo con i risultati dell’asta dei Btp tenutasi oggi: in mattinata il Tesoro ha collocato titoli per un ammontare di 6,75 miliardi di euro, con il rendimento del titolo con scadenza a sette anni fissato all’1,71% e quello del trentennale sceso al nuovo minimo del 3,66%.

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