Uno spazio unico e coinvolgente che custodisce un autentico tesoro archeologico
La periferia romana non è solo traffico, smog, abbandono, disagio e speculazione edilizia. Può racchiudere in sé risorse inaspettate. Piccoli gioielli di impareggiabile bellezza. Il Museo di Casal de’ Pazzi è sicuramente tra questi in quanto conserva al suo interno un importante deposito fluviale rinviabile al periodo del Pleistocene (circa 200.000 anni fa).
E’ un luogo archeologico di assoluto valore, situato nel popoloso IV Municipio di Roma tra la Via Tiburtina e la Via Nomentana, che permette al visitatore la riscoperta di un sito eccezionalmente ben conservato che ci ricorda quanto fosse diverso in passato l’ambiente che ora diamo per scontato. La struttura museale è aperta al pubblico dal 2015 e la sua storia ha inizio nel 1981 quando, a seguito di lavori effettuati per l’urbanizzazione del quartiere di Casal de’ Pazzi, a due passi da Ponte Mammolo, fu portato alla luce le tracce di un deposito antico, costituito da sabbie e ghiaie, in massima parte di origine vulcanica che colmavano un tratto dell’alveo di un antico fiume, affluente del fiume Aniene.
Il grado di conservazione è sorprendente e costituisce una delle poche testimonianze rimaste di una straordinaria serie di reperti pleistocenici che costellavano la bassa Valle dell’Aniene, andati perduti con la fortissima urbanizzazione della città. Grazie al prezioso operato professionale della responsabile museale Patrizia Gioia e alla preparazione indiscutibile dello staff tecnico in persona di Gianluca Zanzi, si viene accolti in un ambiente assolutamente unico che cerca di far rivivere un paesaggio preistorico scomparso, con la sua fauna e flora, i suoi vulcani e i gruppi di uomini cacciatori-raccoglitori. Splendida l’esperienza condotta dalla studiosa e archeologa Roberta Ferrini che, attraverso la bendatura degli occhi, non solo intende farci comprendere cosa vuol dire la condizione degli ipovedenti, ma anche farci entrare in contatto diretto, attraverso i sensi del tatto e dell’olfatto, in un mondo perduto con le sue piante e i suoi abitanti umani e animali che è stato riscoperto e perfettamente conservato in un spazio gradevole e fruibile.
Qui è possibile ritrovare piante che erano presenti in quel periodo tra cui la Zelkova Crenata, una pianta che può raggiungere anche i 30 metri di altezza a tronco liscio e foglie ovoidali e dentate ai margini che ora è diffusa nei territori intorno al Mar Nero e al Mar Caspio e che ci fa capire quanto fosse diverso l’ambiente della penisola italiana.
Numerosi sono i rinvenimenti di ossa attribuibili a mammiferi tra cui l’imponente elefante antico (poteva arrivare a 4 metri di altezza) di cui sono state rinvenute diverse zanne. Sono stati ritrovati i resti fossili del rinoceronte, l’ippopotamo, il cervo, la iena, il lupo e il cavallo, oltre ad uccelli acquatici come il fischione, il canapiglia e l’alzavola.
Nel giacimento è stato rinvenuto un frammento di parietale destro attribuibile al genere Homo. Il frammento venne scoperto nel 1983, sotto uno dei blocchi di tufo del deposito fluviale. Gli studi comparativi hanno permesso di evidenziare caratteristiche definite come preneandertaliane, affini all’Homo Erectus. Importanti sono le tracce dell’attività litica costituita dalla presenza di numerosi ritrovamenti di raschiatoi, punte, punteruoli, anche in osso, che l’uomo preistorico utilizzava per la caccia e per tutte le sue altre attività. E’ uno Museo ben strutturato e organizzato che racchiude un tesoro che tutti possono vedere ed ammirare per prendere coscienza della nostra storia antica e del passato dal quale veniamo.