ROMA – Gli epic- movie tratti dalla Bibbia così in auge a Hollywood ci hanno abituato a un tripudio di effetti speciali e a una trama poco fedele all’originale: così è per Exodus dei e re, il nuovo kolossal di Ridley Scott.
Rispetto al libro dell’Esodo, Mosè – interpretato da un intenso Christian Bale – assomiglia più all’uomo contemporaneo, indeciso e scettico, che al profeta, guida morale e spirituale che condurrà il popolo ebraico fuori dall’Egitto, liberandoli dalla schiavitù.
La versione di Scott si sofferma oltremodo sui paesaggi e sulle mastodontiche riproduzioni grafiche delle piramidi e delle residenze reali, per enfatizzare il fasto faraonico, rispetto alla condizione disagiata degli schiavi ebrei. Un primo tempo descrittivo e a tratti ridondante prepara lo spettatore a un secondo tempo più avvincente e dinamico.
Nella prima parte del film, si assiste alla vita di Mosè a corte, in Egitto, ancora all’oscuro delle sue vere origini, sempre al fianco di Seti, il vecchio faraone- un Joe Turturro in forma smagliante – già in aperta competizione col suo fratellastro, il futuro Ramses Il Grande. Mosè, dopo aver appreso di essere il figlio di uno schiavo ebreo, sarà esiliato dall’Egitto e si incamminerà nel deserto, alla ricerca di se stesso. Sarà allora che incontrerà sua moglie Zipporah e vivrà per 9 anni di pastorizia, ai margini della società. Un travaglio interiore lo avvicinerà a Dio, rappresentato da un bambino, che gli chiederà di dirigere il suo popolo e liberarlo dalla schiavitù. Una scelta dilaniante, che lo allontanerà dalla sua famiglia per compiere una missione più grande di lui: liberare gli ebrei dal giogo della schiavitù dopo 400 anni e condurli alla terra promessa, oltre le sponde del Mar Rosso. È qui che Mosè diventerà un maestro e una guida per il popolo di Israele, imparando in primis a credere in se stesso e nelle sue capacità. Affronterà indenne le 10 piaghe scagliate da Dio contro l’Egitto, per piegare la superbia del faraone: l’acqua resa sangue, l’invasione di rane e locuste, la moria del bestiame, le piaghe sulla pelle, i raccolti in fiamme, il cielo oscurato e infine la morte nel sonno di tutti i primogeniti egiziani. Sarà proprio la morte del figlio neonato, la molla che spingerà Ramses ad affrancare gli schiavi ebrei. Una resa, però, solo temporanea.
Una storia ispirata all’Antico Testamento, ma rivisitata da Scott in chiave mitologica: una favola epica che mette in scena la parabola della fragilità umana. Mosè, rappresentato dapprima come un uomo incompleto e insicuro, soltanto nella fede troverà la sua vocazione e completezza. Per il regista, una sorta di metafora di quanto accade oggi nel mondo, dove alla vulnerabilità umana viene in soccorso la religione, per qualcuno assurgendo a unica ragione di vita, dando origine a pericolose derive fondamentaliste. Una sottesa critica alle religioni monoteiste, ma anche, un’operazione commerciale ben congegnata, per attirare il grande pubblico, meno smaliziato ed esigente. Bravissimo Christian Bale, che umanizza la figura di Mosè, da generale dell’esercito egiziano a guida spirituale del popolo ebraico. Sorprendente anche Joel Edgerton, l’attore australiano che interpreta Ramses Il Grande, con i suoi chiaroscuri emotivi. Da vedere, senza la pretesa di rivivere i fasti de “Il Gladiatore”.
Exodus dei e re (150’), dal 15 gennaio al cinema
di Ridley Scott
Con Christian Bale, Joel Edgerton, John Turturro, Aaron Paul, Ben Mendelsohn
Distribuito da 20th Century Fox