Cinema. Hotel Gagarin, quando il sogno supera la realtà

Opera prima del regista Simone Spada con un cast eccezionale

La realtà, troppo spesso, ci travolge e ci inghiotte. “L’arido vero”, come avrebbe detto il grande poeta Giacomo Leopardi non lascia scampo e più si prova a comprendere il mondo circostante, più si prende coscienza di quante iniquità, di quante ingiustizie sociali siamo costretti a subire. Ma, a volte, possiamo provare ad andare oltre ed iniziare a sognare. Un sogno breve, si intende, non fallace, ma autentico, carico di speranza rivelatrice. Questo, forse, è il senso profondo di un film davvero bello, ben confezionato, una commedia divertente che scivola lentamente verso il racconto fiabesco, come Hotel Gagarin.

Mai banale, mai piatto, l’opera prima di Simone Spada (Torino, 1973) che ha iniziato la sua carriera come aiuto regista a pellicole quali “Non essere cattivo” di Claudio Caligari, “Lo chiamavano Jeeg Robot” di Gabriele Mainetti, “Cado dalle Nubi” di Checco Zalone. Il suo lavoro è incisivo, rapido, coinvolgente e trasporta fin da subito lo spettatore su di un piano diverso, lo eleva dalla sua consueta dimensione reale. Girata in Armenia e prodotta da Mario Belardi per la Lotus Film, la sua pellicola può vantare un cast solido ed esperto con nomi eccellenti del calibro di Claudio Amendola, Luca Argentero, Giuseppe Battiston, Barbara Bobul’ovà, Silvia D’Amico, Caterina Shilba e Philippe Leroy. La storia invero è semplice. Un produttore ciarlatano dal nome Paradiso riesce, grazie alla complicità di un politico, ad ottenere un finanziamento europeo per un film da girare in terra armena. Lì spedisce un gruppo eterogeno composto da regista, attori e tecnici improvvisati, poveri sbandati e reietti che nessuno considera: un professore, una prostituta, un operaio, un fotografo indebitato, un’ambigua produttrice esecutiva. E li fa alloggiare per l’appunto in mezzo al nulla, all’Hotel Gagarin. Ma è una truffa e presto verranno abbandonati a loro stessi. Ci sarebbe di che disperarsi, lasciarsi andare allo sconforto più nero, ma invece questo non avviene. Spinti dalla gente del villaggio vicino, iniziano a realizzare sogni e lo fanno in modo delicato e incantevole.

I rimandi cinematografici a questo punto si fanno molteplici con citazioni che arrivano a Wim Wenders e Salvatores e sono talmente abbandonati da far perdere il conto, confermando l’estremo spessore del regista Simone Spada, bravo a saper amalgamare alla perfezione gli attori che sono a sua disposizione. Inutile dire che il film colpisce nel profondo dell’anima e, per certi versi, diventa persino commovente. Intensa la colonna sonora tra cui ricordiamo gli M83 e il caro vecchio Vecchioni. Un film per tutti, grandi e bambini, per ritrovarci tutti insieme, nel grande palco immaginario della speranza, dell’immaginazione, della creatività, al di là di ogni difficoltà.

 

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