Taormina Film Fest. Terry Gilliam, alla ricerca di un sogno che diventa pellicola ispirata

TAORMINA (nostro inviato) La sessantaquattresima edizione del Taormina Film Festival s’illumina, in un’importante Masterclass, della figura di Terrence Vance Gilliam, in arte Terry Gilliam, figura di proteiforme creatività nell’ambito cinematografico, innovatore nell’uso della camera, irriverente nella sua comicità che ha trasfuso nel gruppo comico Monty Python, Don Chisciotte moderno alla ricerca dell’affermazione dei suoi sogni, quasi come il protagonista del suo ultimo lavoro.

Silvia Bizio, direttrice artistica del Taormina film festival insieme a Gianvito Casadonte, ci ha introdotto – traducendo per noi – nel mondo dell’artista, naturalizzato inglese ma nato a Minneapolis (in Minnesota, Usa), il quale ha sottolineato come la sua carriera sia stata sollecitata dalle sue origini semplici. Infatti il comico dei Monty Python ha descritto la sua infanzia fatta di campagna, con vicina palude e foresta limitrofa a scandire ritmi senza tv, con sole radio e libri a stabilire un confronto con il mondo e a favorire la genesi dell’elevata capacità immaginativa. I primi film visti dal giovane Terry sono stati “Biancaneve e i sette nani” e “Il ladro di Bagdad” di Michael Powell e Tim Whelan, pellicole per lui stimolo di grandi emozioni e, come nel caso del secondo film, incubi notturni. Incubi, come ironicamente ha aggiunto egli stesso che, quando deve realizzare un film, sono di due tipi: quelli per cercare di produrre un’opera e quelli per convincere il pubblico a vederla.

L’artista si è spostato con la sua famiglia nella valle di San Fernando, stabilendosi nella parte della collina di Hollywood dove non si fanno film, cercando invece di prendere parte alla loro realizzazione, magari lavorando come falegname sul set, attività svolta dal padre.

“Da giovane”, ha evidenziato Gilliam, ” ero attratto dai film, ma non sapevo come realizzarli”. La sua svolta è avvenuta con il trasferimento a Londra e la formazione dei Monty Phyton, insieme all’altro Terry (Jones) autore e regista: mestiere imparato, per molta parte, sul campo e che, nel suo caso, ha significato anche avere una piena gestione dei propri progetti. Cosa che ha portato ad avere momenti di grande conflittualità con gli Studios. Come accadde per “Brian di Nazareth”, quando la casa produttrice, ritenendo il film blasfemo, bloccò l’inizio delle riprese. A salvare il tutto fu l’amico George Harrison, quello dei Beatles, che diede i fondi per sovvenzionare la pellicola, poi diventata famosa in tutto il mondo, creando appositamente una casa di produzione con i Monty Phyton, la “HandMade film”. Da lì, pian piano, è nato il progetto di “Brazil”, che il manager dei Monty Phyton non voleva si facesse. Per aggirare l’ostacolo furono realizzate pellicole che fossero ritenute eccitanti dagli adulti e intelligenti dai più piccoli, per riprovare poi a concretare il progetto di “Brazil”, nonostante l’opposizione degli studios e dei distributori. George Harrison, nuovamente in soccorso, trovò un distributore che permise una prima fase di distribuzione. Gilliam capì di essere sulla strada giusta con “Brazil”, film poi andato a Cannes, anche se i produttori avrebbero voluto la storia a lieto fine, cosa non concepibile dai Monty Phyton, che li portò a una distribuzione illegale in Messico, cui assistettero giornalisti pagati per andare oltre la frontiera USA. Il film ebbe allora grande successo di critica, ma non altrettanto di pubblico, se non nelle grandi città, in un’America che non conosceva ciò che non era pubblicizzato. 

Del resto, come evidenziato dallo stesso regista, che ha rinunciato alla sua cittadinanza statunitense, i suoi film sono sempre una battaglia tra il sogno, che è ciò che ispira, e la realtà che è ciò che ci trattiene dal volare. Un po’ quello che si coglie in “The Man Who Killed Don Quixote”, in cui Don Chisciotte rappresenta il sognatore e Sancio Panza la concretezza. E in questo lavoro d’intreccio e scontro dei due elementi, il comico inglese trova ispirazione dalla costante visione di fotografie e dipinti, da ritrasformare in immagini, come per il monolite ne “Le avventure del barone di Munchausen”.

Gilliam ha sostenuto come il difficile sia stato ambientare quella storia antica nel ventunesimo secolo e attraverso l’immaginazione di un Don Chisciotte, interpretato da Jonathan Pryce, straordinario e attuale. Significativo il metodo non sempre convenzionale di scelta degli attori che si è evidenziato nel personaggio di Sancio Panza, che ab origine doveva essere Johnny Depp. Invece Gilliam ha poi optato per un attore totalmente diverso, Adam Driver, sia per alcuni caratteri attoriali sia per il suo essere “Bankable” ossia “di cassetta”, anche se il primo criterio è prevalente.  Come per Joanna Ribeiro, attrice molto brava ma non notissima scelta, in quest’ultima sua prova, per un ruolo medio.

Alla mia domanda sulle tecniche utilizzate, tra cui plongée e contre-plongée, grandangolo, inquadrature sbilenche, il regista ha risposto come sia difficile parlare di tecnica. In “Brazil”, ad esempio, ha prevalso l’espressionismo tedesco, con angoli di cinepresa bassi e drammatici e l’uso della lente larga per evitare il close-up ossia l’avvicinamento e per contestualizzare meglio l’ambiente in cui operano gli attori. Ma non sempre ha deciso prima. In “Paura e delirio a Las Vegas”, la droga e i suoi effetti hanno molto spazio e, mentre Benicio Del Toro incomincia a essere sotto effetto degli stupefacenti, la camera “si appiattisce” fino a divenire totalmente “piatta” quando Del Toro è interamente “fatto”.

Gilliam ha evidenziato come in questo periodo dia più spazio agli attori e alla storia che a tecnica e fatti. I suoi film vengono definiti con “aspetti teatrali” e l’artista inglese ha commentato che il cinema (ed anche il teatro) è artifizio, diverso dalla vita reale. Fellini per Gilliam è un grande eroe perché sapeva fare cose cinematografiche estrose e con grande abilità prendeva la realtà per elevarla a un livello più alto. E suo grande ispiratore è stato anche Luis Buñuel. 

Spesso ci si stupisce della forza che ha avuto Terry Gilliam nel cercare di produrre i suoi film. Egli ha affermato che per andare avanti si è giovato della sua “stupidità”, nel senso dell’insistenza a perseguire i sogni di là dall’opposizione di gente, forse più pratica, ma alla fine meno lungimirante. “Anche quando mi dirigo”, ha detto, ”è facile perché non sono un attore, ma solo un performer che fa scena”. E la determinazione di Gilliam emana anche dall’ultimo lavoro, che è stato in gestazione per ben ventotto anni e che l’ha portato ancora una volta a dimostrare il coraggio e l’importanza di seguire le proprie idee, alla ricerca di un sogno che diventa pellicola ispirata.

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