Teatro Quirino. “Regalo di Natale”, cast d’eccezione gioca a poker col passato

ROMA – Può una partita di poker trasformarsi in una metafora della vita, trascinando sul tavolo da gioco il passato coi suoi fantasmi e l’ironia di un presente svilito dai fallimenti? Uno dei film tra i più amati di Pupi Avati, Regalo di Natale, diviene pièce teatrale – in scena al Teatro Quirino fino al 19 maggio – grazie all’adattamento di Sergio Pierantonio e alla regia di Marcello Cotugno.

Quattro amici si ritrovano, dopo molti anni, nella notte di Natale, ad affrontare una partita di poker dalla posta molto alta: l’idea è quella di spennare il vecchio e ricchissimo avvocato Santelia che li ha raggiunti insieme a uno di loro. La notte però nasconde un’insidia dopo l’altra e ciò che doveva essere una rimpatriata tra amici diventa il pretesto per affrontare gli errori del passato.

L’idea originale del film, trasportata nel presente della messa in scena, risulta oltremodo vincente: la società odierna votata alla superficialità dei rapporti, il valore che essa dà al denaro, il successo di nuove forme di gioco d’azzardo, disegnano un’umanità sconfitta e subdola, tenace nei propri errori, eppure mai priva di speranza.

Un cast d’eccezione ci regala una pièce contemporanea e classica senza esitazioni, disegnando personaggi nuovi sul solco del passato cinematografico. L’avvocato fragile e malato (Gigio Alberti) che si rivela duro e perverso; lo scrittore squattrinato Lele che Giovanni Esposito ci restituisce tormentato e mattatore, donandoci momenti comici di grande leggerezza, eppure carichi del peso delle ossessioni del nostro tempo; il distaccato Ugo (Valerio Santoro), impenetrabile e ambiguo; l’elegante Stefano (Gennaro Di Biase) che sa sorridere e piegarsi di dolore e che, insieme alla profondità della rabbia e alla verità dei sensi di colpa del Franco di Filippo Dini, raccontano la concretezza di una generazione perduta, incosciente e distratta, eppure umana, fino al midollo.

Sulla scena, l’interno di un’elegante villa moderna vede muoversi i cinque protagonisti a riempire di sé lo scarto temporale che cela al pubblico il passato, scrivendo storie attraverso i corpi, i gesti di una vita di sconfitte.

La loro amicizia ci regala momenti di ironia intelligente e travolgente e, al tempo stesso, scarnifica la ridicola impalcatura di finzione che spesso regge i rapporti umani. Come sul tavolo da poker, niente è come sembra. E l’ombra della donna amata da Franco e sedotta da Ugo crea una breccia dolorosa attraverso la quale far esplodere la frustrazione del non poter tornare indietro.

Tutta la vicenda si tende verso il bluff finale, il regalo di Natale che ha il suono di una proposta indecente. Lo sconfitto è uno solo, eppure nessuno ne esce vincitore. Quanto siamo disposti a rischiare se la vita non è un gioco e il presente ha il sapore amaro dei rimpianti? La suspense dell’azzardo intride la scena nelle musiche originali e nei colori che mutano sulle pareti di una stanza sempre uguale. La vertigine è la cifra esorbitante che si sta giocando e la cifra incalcolabile di fratture mai colmate. Il tavolo da gioco ruota, come un carillon, a mimare la macchina da presa e, dietro un velo, un albero di Natale riflette la sua ombra, immagine evanescente del tempo che, spesso, è solo una favola raccontata, il ricordo di un sogno. Al di là di quel velo – sul finale blu come il gelo – c’è la neve, ci sono stanze, un giardino al quale non siamo invitati: un oltre che ci palesa la finzione e codifica la metafora di ciò che è andato perduto. Nevica, sul tavolo da gioco e fuori, a ricordarci che tutti, nonostante tutto, possiamo tornare bambini.

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