Libri. Marsilio. “E io ti querelo!” di Caterina Malavenda

Come imbavagliare la stampa, novità in libreria. Questo gustosissimo libro di Caterina Malavenda, oltre che al vasto (anche se fra i più scarsi in Europa) popolo di lettori abituali, è  esplicitamente dedicato ai giovani giornalisti che all’inizio della carriera si trovino a lavorare in uno dei settori più importanti del giornalismo, la cronaca, che sia bianca, nera, rosa o piuttosto giudiziaria non fa differenza, e che devono pertanto tenere sempre presente il rischio, loro che frequentano le aule di tribunale da liberi cittadini, di doversi sedere un giorno sul banco degli imputati a rispondere dell’accusa di diffamazione.

 A questo, infatti, che è un reato penale e quindi da non sottovalutare, fanno spessissimo ricorso i prepotenti di varia estrazione (politici, imprenditori, faccendieri, anche pregiudicati) per tappare la bocca ai giornalisti che li avrebbero danneggiati con ampie inchieste o sporadici articoli sulle loro poco chiare attività pubbliche. 

Oltre alla efficace copertina, (un tappo in bocca ad un giovane Maurizio Cattelan in una foto di 25 anni fa di Armin Linke), il libro ha un titolo significativo: E io ti querelo, con l’annuncio Una storia della libertà di espressione in dieci processi. (Marsilio, Nodi – pagg. 366, euro 19,00).

Caterina Malavenda aveva fin da bambina due passioni contrapposte: fare l’avvocato (complici i telefilm di Perry Mason) o la giornalista, (nata dalla lettura dei quotidiani che era un’abitudine nella casa paterna). 

 Poi da grande ha fatto l’avvocato, ma più avanti è diventata giornalista pubblicista e non ha smesso di scrivere, ma soprattutto non ha smesso di difendere i giornalisti trascinati in tribunale con i pretesti più assurdi e le accuse più campate in aria.

 E le cause vinte da lei si contano a decine, come gli imputati mandati assolti dopo le coraggiose e circonstanziate arringhe difensive dell’inesorabile avvocato- pubblicista. 

Dieci i casi più noti ricordati nel bel libro, con protagonisti di spicco: da Berlusconi a Santoro, da Massimo Fini a Oriana Fallaci, da Francesco Merlo a Oliviero Toscani, con il ricordo di eventi clamorosi: dall’inchiesta di Tangentopoli ai grandi processi di mafia. 

Non c’è giornalista militante che non si sia sentito addosso la spada di Damocle della querela per diffamazione: anche chi scrive, da direttore di un periodico di quartiere, si è dovuto difendere in tribunale, anni fa, dal costruttore senza scrupoli che in un bellissimo centro residenziale romano aveva fatto diventare edificabili terreni destinati a rimanere verdi e, più recentemente, ha dovuto rintuzzare la piccata pretesa del presidente del locale condominio risentito per un titolo che peraltro aveva frainteso. 

Oggi che il ruolo sociale della stampa ufficiale e conseguentemente le vendite di copie sono state ridotte dal dilagare di quanto appare in rete (e non c’è difesa per il povero lettore che per tutta la vita ha celebrato il rito mattutino della lettura del quotidiano, come diceva Montanelli) i giornalisti continuano comunque ad essere minacciati dal prepotente di turno. E a nulla valgono le vaghe promesse di intervento del governo in carica. Anzi, è chi lo presiede che mostra spesso di accanirsi contro la stampa che non può definire amica, e trascina per anni querele dall’incerto epilogo. Ci vorrebbe un cambio di passo con un salto di qualità.

 Non solo la Malavenda, quasi tutti giornalisti potrebbero pubblicare un libro come il suo, anche se meno brillante e suggestivo. Ecco, dunque, l’esortazione, all’intera categoria: chi ne abbia voglia e il coraggio, parli. Anzi scriva.

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