Hamid Barole Abdu. “Il volo di Mohammed” , la poesia dell’uomo che non c’è. La recensione

ROMA – Gli ascari – in arabo ascar vuol dire soldato – erano militari indigeni dell’Africa Orientale Italiana, componevano il Regio Corpo Truppe Coloniali, le nostre forze coloniali africane, uomini oggi quasi del tutto scomparsi.

Il poeta eritreo Hamid Barole Abdu, autore di “Il volo di Mohammed”  dedica questa raccolta a suo padre, che è stato un ascaro, e a tutti quelli che “con tanta fedeltà hanno servito l’Italia durante la colonizzazione, nonostante tutte le umiliazioni e il disprezzo che subivano proprio dai commilitoni, solo perché di pelle scura”.  Uomini che la storia ha cancellato per sempre, sui quali  Hamid Barole Abdu chiede sia fatto un minuto di silenzio.

Nei fatti la poesia di Barole Abdu parla dolorosamente degli uomini che non ci sono,  che non sanno come e a chi urlare  il loro diritto all’ esistenza. Il poeta intona per loro il grido di chi ha sofferto per fame, guerra e altri misfatti,  e spera in un mondo diverso e migliore. Il suo è un canto che si fa preghiera nel quale prendono forma la nostalgia, la rabbia, l’antagonismo, la speranza, il miraggio e la realtà. L’Eritrea di Hamid Barole Habdu palpita  nella nostalgia di Akhria, il quartiere di Asmara “senza bussola né orizzonti”, palpita per una madre avvinghiata tra passato e presente, si scinde tra le memorie degli avi e l’attualità: in fondo un canto multiculturale.

Il teatro della poesia di Hamid è il racconto lirico delle situazioni tragicamente conosciute: il clandestino che si è infortunato sul lavoro, che viene coperto di epiteti razzisti, colui che chiede di non venire espulso con le manette ai polsi. Il suo un italiano musicale come molti nostri connazionali non saprebbero. Le sue liriche vibrano per tutti coloro che non hanno diritti: emarginati e  invisibili.  Extracomunitari così come siamo stati anche noi.   Hamid Barole Abdu vuole dare visibilità all’uomo sul quale i riflettori non puntano. E mai come in questo caso tale aspirazione ha senso, vitalità, forza e ritmo attraverso il mezzo nobile e demistificatorio della poesia.

L’uomo che non c’è

L’uomo che non c’è
Avverte colpo dopo colpo
Il ritmo incessante della sua terra
Sa che il suo corpo sta qui
Mentre la sua anima è lontana
Per questo ha in viso una
Luce strana, di beata meraviglia
Siede, l’uomo che non c’è
Su di una panchina davanti alla stazione Termini
Ma ha narici colme
Dei seducenti aromi delle spezie lontane
Le sue orecchie ospitano chiassose grida
Da genti al mercato
I suoi occhi esultano perché
Egli sa che in quella casa,
Dietro quella tenda
C’è una donna che cucina cuscus
Per i suoi figli che tornano da scuola.
All’ombra di un ulivo aspetta
L’uomo che non c’è
Il richiamo alla preghiera del muezzin
E intanto chiude
L’uomo che non c’è
La Stazione Termini fuori di sé.

Hamid Barole Abdu
Il volo di Mohammed
Libertà edizioni
Euro 17

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Bruna Alasia

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