Tonino al G20

Dal pensiero all’azione il passo è breve. Tolta la veste da giovane militante piddino ho seguito Tonino ed eccoci all’aeroporto di San Pietroburgo a fare l’autostop.

Sull’aereo chiunque ci avrebbe riconosciuti: italiani e compagni.
Bagagli a mano stracolmi, pesati alla perfezione, panino con mortazza a metà viaggio e richiesta inesaudita di due bicchieri di lambrusco alla provocante hostess russa.
Tonino dall’alto dei suoi 65 anni sfoggia una cangiante camicia rossa su pantaloni taglia 62 di velluto marroncino. Io, la solita t-shirt con il volto del Che.
Dopo i tentativi di abbordaggio di una decina di tassisti abusivi, si ferma un signore anziano, calvo col pizzetto curato e i baffi con terminali all’insù. Un mix tra un Dalì orientale e una versione occidentalizzata di Lenin.
Il malcapitato non parla inglese, noi non parliamo russo. Tonino è diretto.
-Portace ar G20, jene devo dì 4 a ‘sti zozzi prepotenti!
-Italiani?
-Sì, semo italiani, embeh?
-Italiani, brava gente: pizza, mafia, mandolino! Ahahaha!
-Brava gente? Vabbeh, portace ar G20.
Lenin guida piano, come se volesse farci ammirare il paesaggio. Si alternano palazzi altissimi che lui ci presenta con il pollice alzato.
-Bellissimi, daaaa?
In realtà sembrano i moduli abitativi di Tor Bella Monaca, ma si sa, i gusti sono differenti di Paese in Paese…
Oltrepassiamo il fiume che divide la città e inizia a piovere, il cielo è quello di Milano, ma ogni dieci minuti di traffico si intravedono cupole dorate di splendide chiese ortodosse.
Siamo in silenzio, sperando che questo passaggio abbia un senso, che l’autista ci abbia capito. La nostra vacanza è tutta in questo percorso, poi inizierà la mission impossible. Abbiamo il tempo di notare che ci sono cartelloni pubblicitari ovunque, che Leningrado è oramai lontana.
Dopo più di un’ora Lenin rallenta, indica un cartello.
C’è scritto: Palazzo di Costantino.  
E’ la sede del meeting. Tonino dà una pacca all’autista e apre lo sportello in corsa. La macchina si ferma, ringraziamo Lenin e gli regaliamo una fotina di Antonio Gramsci.
Iniziamo a camminare, c’è la polizia, ci sono delle Femen con le tette in bella vista, ci sono i giornalisti, ma poco più.
Non è Seattle, né Genova. Non ci sono pomodori da lanciare, né ragazzi pronti a superare una zona rossa. Allora ci allontaniamo dall’ingresso principale e iniziamo a percorrere il perimetro del Parco che ospita la sede dell’evento, alla ricerca di un punto buono dove scavalcare.
Lì dove la ringhiera è più bassa, Tonino mette un piede sulle mie mani, poggiate sul mio ginocchio, poi mi sale sulle spalle, vede il lusso. Il ben di dio che è stato preparato per i grandi della terra. Afferra gli spuntoni della ringhiera, io mi chino e prendo tra le mani le sue chiappe.
-Spingi, Piddì!
Lo butto dall’altra parte. Un volo di due metri. E’ lì sul prato che si tocca la schiena.
-Mò vatte a fa’ ‘n giretto, che ce penso io. So’ ‘n vecchio, a me nun me possono ferma’.
A malincuore lo saluto e mi reco all’ingresso principale. Il suo blitz interromperà il pranzo di Mr Obama, del giovane Letta e del grigio Putin. Lui farà il suo, poi se tutto andrà bene le guardie lo faranno uscire, lo rimprovereranno, prenderanno i suoi dati ed io interverrò, fingendo di essere suo figlio e scusandomi di tutto. Dirò che me l’ero perso, che Tonino è un pazzo, per di più malato di Alzheimer. Spenderemo i nostri risparmi per un taxi “reale” e in nottata saremo di nuovo a Roma.

E’ ora di pranzo, Tonino sa come arrivare alla sala ristoro del G20. Dalla vetrata scruta l’aperitivo: gamberi “parlanti” in bicchieri di cristallo con crema di scampi che arriva all’orlo argentato. Caviale in  conche di madre perla e filetti di salmone in piatti di Swarowsky. Le birre artigianali volute da Barack, lo champagne portato da Hollande e il Prosecchino numerato di Enrico.
Poi i primi, risotto indiano al curry con un pollo cresciuto in una albergo cinque stelle, costretto a vivere tra il divano e la vasca idromassaggio. Due fettuccine con funghi porcini di Arcore e delle crepes ripiene di carne di figli di cavalli da corsa.
Al momento del secondo, della tagliata di manzo cruda, ma massaggiata precedentemente in maniera ininterrotta per mesi da bambini asiatici sottopagati, Tonino entra dalla finestra.
-Bongiorno eh!
Si dirige da Letta.
-Ancora qua stai?
La polizia è già su di lui, ma Enrico, accortosi dell’innocuità del personaggio, chiede di lasciarlo parlare.
-Sei democristiano, ma armeno c’hai rispetto pe’ l’anziani! Volevo dì du’ cosette, poi me ne vado. Complimenti a Vladi! Ber teatrino! Daje che nun te romperanno er cazzo pe’ le Olimpiadi… Certo però che me girano le palle a pensà che qua, dentro sto castello, venti persone decideno le sorti de miliardi d’essere umani. Qua, proprio in Russia, dove ‘na vorta erano tutti compagni… Jelo devo dì io, o ce pensate voi? Va beh, jelo dico io. Caro Vladi, ma come t’è venuto in mente de mette su certe campagne contro l’omosessuali? No, no, nun so’ frocio, ma me vengono dei dubbi, come posso sperà che uno come te faccia ragionà l’America e freni la guerra in Siria. E sì, perché se sto qua nun è pe’ fa ‘n pippone a Putin, ma pe’ parla’ co’ Obama. Caro Barack, te sei fatto bello co’ mezzo monno e mò che t’hanno rieletto che fai? Getti la maschera e te scopri peggio der Bush più scemo! Avete previsto l’aumento der petrolio, allora eccoce de fronte a n’artro Iraq. Ma che ve fumate, fiji belli? Qua scoppia ‘a terza guera mondiale… E’ inutile che er capo degli Emirati Arabi se la sta a ride’. Carissimi sauditi, da ‘e parti vostra ‘a gente sta ‘mbufalita. N’è mica come qua che se semo rincojoniti. Sì, lo so, tra poco uscirete e direte che state a lavorà pe’ nun bombarda, ‘nvece state a cercà ‘na scusa pe fa la guera! Tirerete dentro l’Onu. E allora la Merckel, che mò se sta zitta perché c’ha le elezioni, sarà dei vostri, la Russia stessa se farà i cazzi sua. Ma mica mica c’avete ‘n prezzo? No perché pe’ nun sape’ né legge, né scrive, me sembra che pure Obama è ‘n guerafondaio, pe’ lui l’unica strada pe’ fa ‘mpenna’ er dollaro è usà le armi, distrugge e riscostruì. Poi se ce so’ risorse in ballo… I pacifisti, ‘nvece, quelli coi sordi, no quelli che dovrebbero sta qua sotto, se vojono aggrazia’ gli arabi pe’ aumenta gli scambi commerciali. Nun c’ho parole, giocate coi destini della gente. E se nun trovate n’accordo siete pronti a esse’ nemici. State a magnà? Che ve vada de traverso! ‘E regole so’ uguali dappertutto, nun se magnà co’ chi nun c’hai niente a che sparti’ e voi magnate tutti insieme. Chi più, chi meno. Ma nun dovevate parlà de aumentà le tasse alle grandi multinazionali? Tipo Google… E poi er Giappone, su, dillo, presidente giapponese, tu non stai qua pe’la pace. Stai qua perché vuoi che nun te scassino i cojoni, vuoi svalutà lo yen e riprenne’ a vende, ma loro nun to’o permettono. E’nfine, caro Enrico, ‘sto G20 sancisce er tapering e ‘o sai che vor dì? Che i poveri saranno più poveri e che i ricchi saranno più ricchi. Ma nun sarà che quarcosa è cambiato? Sveja! I ricchi so’ più poveri oggi, i ricchissimi so’ intoccabili e i poracci che se stanno a’nventà de tutto pe’ riemerge, beh, loro mo’ li riazzopperete tutti. Qua stamo in campo internazionale, non in Italia. ‘O potemo dì che la Federal Reserve vole stringe la cinta e aumentà i tassi d’interesse? Avoja a dì che la crisi è finita, che l’America punta sull’Italia… E se questo è er modo, se bisogna distrugge i paesi emergenti pe’ fa’ fa’ cassa a Banche e Fondi, Caro Letta, cari tutti, io nun ce sto. Ma tornatene in Italia che c’avemo ‘n sacco de problemi! Stai a fa’ er gioco loro, ma ‘nfonno è sempre stato così. C’avemo centinaia de basi Nato a casa nostra e sto Governissimo è voluto solo da chi, bello bello, sta seduto a sto tavolo. Qua, tra voi padroni.
Letta è imbarazzato, tira fuori tutta la sua rabbia.
-Ora basta! Portatelo via! Non so chi sia, non è un mio invitato.
-Ma come? Nun ho ancora detto niente sur Pd! E Berlusconi? L’amico tuo…
Hollande prende la mano di Letta.
-Il est foul! Laisse quitter la chose!
Mentre i poliziotti spingono Tonino fuori, lui grida.
-Non sono pazzo, è solo l’inizio. Saremo in tanti e ci vorremo bene.
Come da copione recupero il vecchio, che nel frattempo è diventato un mito per i pochi protestanti in piazza.
Lo acclamano.
-Tonino! Tonino!
E cantano la canzone di Toto Cotugno.
-Lasciatemi cantare…
Ha il suo momento di felicità, ma sono costretto ad interromperlo.
-Tonino, c’è il taxi che ci aspetta.
-A Piddì, l’hai preso quarche numero de telefono?
-Ma che sei scemo?
-Mica pe’ trovatte ‘na ragazza, è che dovemo inizià a costruì ‘na rete…

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