3. Pensieri d’autore (seconda parte)

Intanto il pensiero della sopravvivenza ancora una volta attanagliava il suo cervello e lo costringeva a sforzarsi per trovare una via di uscita. Ancora niente, nessuna possibilità in vista. Sil, tornato totalmente alla quotidianità, sperava in una chiamata di qualche acquirente che forse gli avrebbe preso qualcosa.  

Se così non fosse stato doveva cercarsi di nuovo un lavoretto; era la tortura più atroce, dover fingere di essere interessato a qualche lavoro di merda per poter guadagnare dei soldi che non gli avrebbero nemmeno permesso di sopravvivere. E Tebra? Sarebbe rimasta un’altra volta da sola ….. Povera, lei non poteva capire tutto questo, come spiegarglielo, pensava Sil; era proprio vero, il lavoro è qualcosa contro natura. Doveva fare un curriculum nuovo, scrivere ancora delle cazzate mai successe, inventare che sapeva cinque lingue, lavarsi, tagliarsi i capelli, comprarsi dei vestiti per l’ingresso in società; in una parola uniformarsi. A Sil piaceva lavorare in realtà ma non per un padrone, era uno spirito libero e pieno di inventiva, ma lo voleva fare a modo suo e naturalmente non poteva. A Sil piaceva la natura, lo stare all’aria aperta, e non dover essere obbligato a stare in mezzo a gente che non aveva scelto. Un mondo tutto suo in effetti, ma che fare? Come demolire la forza e la speranza di un giovane ribelle. Intanto che si tagliava la barba e si guardava allo specchio immaginava un mondo diverso, tutto fatto all’opposto di quello in cui si trovava a vivere. Tebra intanto aveva abbaiato, e qualcuno aveva bussato alla sua porta. “Chi è?” “Sono il professore” rispose una voce baldanzosa e allegra. “Avanti” esclamò Sil, che in realtà era tutto felice perché sapeva che sicuramente avrebbe fatto qualche soldo. “Allora come ti va giovane? Scrivendo ancora le tue teorie?” “Si chiaro, chissà un giorno divento professore pure io”. “Beh sicuramente saresti uno di quelli bravi” rispose in tono affettuoso il grasso maiale. “Vuoi qualcosa?” – gli chiese gentilmente Sil accendendosi un porro e inebriando la faccia di quell’ometto un po’ ubriaco. “Si, se hai qualcosa, ne vorrei un po’ perché stasera mi devo vedere con una persona che mi ha chiesto se potessi portare con me qualcosa”. “Nessun problema capo” – Sil prese il suo Oppinel, un coltellino usato in materia, e si apprestò a dargli un pezzo di pane. Il professore subito fece una prova e dopo avergli dato i soldi si sedette su quel divano rotto e con le molle per fuori, accendendosi il suo nuovo acquisto e dopo una bella boccata esclamò “Beata giovinezza”. Sil lo guardava divertito, e si chiedeva cosa portasse un uomo di quel tipo a frequentare gente come lui. Aveva una casa, una televisione, un computer, uno studio, dei colleghi, l’abbonamento alla palestra, la piscina d’estate, la macchina, il camper …… Sil non aveva niente, solo il suo modo di vedere e vivere la vita. Aveva anche sospettato per un momento che il professore volesse la sua compagnia per sentirsi superiore a lui, oppure che fosse gay, ma poi si tolse questa idea dalla testa e pensò che fosse dovuto all’effetto di quel pregiato materiale. Sil quindi gli chiese il perché di quell’affermazione, aprendosi una bottiglia di birra in lattina del discount.

Il professore tutto sorridente rispose “Perché potete mandare tutto a fare in culo e farvi i cazzi vostri” Sil scoppiò a ridere e con la barba a metà ricominciò il rito di omologazione. Il professore dalla sola stanza che c’era gli chiese che cosa stesse facendo e Sil rispose che doveva uscire per cercare lavoro. Infatti i soldi del professore non sarebbero bastati per vivere un altro paio di mesi. “Dai ti accompagno per un pezzo di strada allora” –  gli disse il professore. Sil aveva intuito dall’affermazione di quell’uomo che non era tanto contento della sua vita eppure aveva tutto. All’improvviso pensò ad alcuni suoi amici che provenienti da paesi senza alcun tipo di ricchezza, senza nulla in tasca e senza nessuna risorsa hanno quasi sempre il sorriso sulle labbra.

Marco Marian

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