Un segreto (seconda parte)

Sil dove poteva rifugiarsi se non in se stesso? Non voleva essere, non voleva stare, non voleva rimanere….

La sola soluzione adeguata e coerente sarebbe stata il suicidio, ma non voleva darla vinta alla natura, agli uomini così facilmente. Quindi comportandosi come stava facendo si sentiva coerente con le sue idee, solo che risultava visto dal di fuori come una scoria. Invece era un intellettuale, un filosofo che provava sulla sua pelle le idee che manifestava. Viveva il pensiero. Faceva della teoria una pratica e viceversa, pensava, o per lo meno ci provava. Aveva scoperto che con cinquanta centesimi poteva mangiare a mezzogiorno alla cucina economica, fatta appositamente per chi vive per strada e non. Associazioni di volontariato fornivano i vestiti che la gente buttava via. Riusciva a vivere con i rifiuti delle altre persone, era nobilissimo da parte sua. Lo rendeva speciale quell’autocontrollo di sé, che gli permetteva di mantenere la calma in una situazione dove qualcun altro al suo posto avrebbe potuto tranquillamente perdere la testa. Invece Sil divagava, cercava di godersi ogni attimo della compagnia di Tebra, osservava la natura, non si aspettava niente. Solo voleva vedere fino a che punto le ingiustizie potevano arrivare a colpire l’essere, fino a che punto l’uomo mangia l’altro uomo, per quanto tempo sarebbe durata. Chiusa la porta d’entrata e accese un po’ di candele, Sil e Tebra si accovacciarono sul materasso per passare la loro prima notte da occupanti. La mattina seguente bagnatosi la faccia, vestitosi e fattosi un caffè, Sil era pronto per andare ad attrezzarsi un po’. Aveva dormito divinamente, ma ancora mancavano cose alla casa e doveva provvedere. Doveva fare scorte di alcool, di candele, di cibo…… Gli sembrava di essere tornato indietro nel tempo vivendo in quel posto. Forse lì aveva trovato il luogo che lo avrebbe aiutato nel cominciare a trascrivere i suoi pensieri. La quotidianità lo faceva sentire inerme, il flusso continuo della falsa vita propagato per il sistema lo atterriva. L’andare contro vento da una vita lo stava levigando, la sua guardia si stava abbassando. Intanto Renè, l’artista di strada dedito al bere e al gioco era stato picchiato e derubato da altri barboni una notte di quella settimana. Aveva l’occhio tutto gonfio e dei tagli in pieno volto. Gli avevano rubato le scarpe e la chitarra. Erano stati dei tossici della zona che ormai sapevano le sue abitudini e avevano bisogno di soldi per la loro dipendenza e felicità. Renè senza la chitarra si sentiva un fallito nel chiedere l’elemosina senza dare un servizio in cambio. Lo stare fermo e aspettare che qualcuno solo per pura carità gli regalasse qualche spiccio non lo faceva stare bene. Aveva deciso di cambiare città. Forse con dell’aria nuova avrebbe avuto più fortuna. Sil che non disse niente a Renè del suo cambio di residenza, salutò quel falso amico, e gli augurò una falsa buona fortuna. In fin dei conti non si conoscevano se non di vista. Sil ascoltando quella storia si convinse nel non dire niente a nessuno su dove vivesse. Non voleva trovarsi a non dormire la notte immerso nelle paranoie. Doveva un attimo tutelarsi; ora praticamente era come se vivesse in strada, e la strada aveva le sue regole, che ancora lui non conosceva, e che non voleva nemmeno imparare. Infatti cercava di stare lontano dai senza tetto della zona, dai punkabestia e dai tossici senza fissa dimora. Si comportava come sempre, solo che però anche lui era nella stessa situazione di questi. La solidarietà a questo mondo non esiste e tanto meno tra i poveri. Chi ti può sottomettere lo fa senza alcuno scrupolo, meglio ancora se riesce a trovare una vittima più debole di lui. La natura è fatta così. Quindi non era il momento di essere solidali con nessuno e poi quella gente da quello che sapeva, quella situazione se l’era cercata. Sil si era trovato costretto a viverla.

Marco Marian

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