Il colloquio (parte seconda)

Intanto il mese stava finendo; le bollette, anche se poche, e l’affitto andavano pagati. La padrona di quel buco già si aggirava per il palazzo quei giorni per riscuotere anche dagli altri inquilini.

“Sta stronza, ha ereditato la palazzina e ogni mese guadagnerà un casino di soldi senza muovere un dito……. nemmeno sistema gli appartamenti, o meglio stanze che affitta, sti cessi luridi usati da chissà quanti culi. Che gente…… attaccati al denaro a scapito della salute degli altri. Dov’era qui la bella solidarietà tra cittadini, il rispetto per l’altro predicati dalla morale civile? Nelle fotocopie di qualche inutile fascicolo” rispondeva Sil a se stesso. Un forte acquazzone si stava scatenando fuori e qualche goccia entrava dalla finestra per la potenza del temporale. Tebra impaurita dal rumore dei tuoni tremava e si avvicinava al suo amico che la teneva vicino a sé per darle sicurezza e amore. Chissà se Sil avrebbe mai trovato qualcosa che lo soddisfacesse, qualcosa che gli piacesse fare, con tutta quella merda di mondo in cui doveva vivere ogni minuto della sua vita. Le sole cose belle erano Tebra e ……. nemmeno lui lo sapeva. Idee non gli venivano. Era abbattuto, la morale sociale aveva coinvolto anche l’ultimo dei mendicanti, che dava ragione al ricco che non gli dava l’elemosina, che chiedeva scusa alle passanti impellicciate a cui disturbava il passo. Non c’era una reazione da parte di questi esseri condannati alla schiavitù di essere i più deboli e di dover sopperire? Perché tra così tanti sfruttati, umiliati, derubati oltraggiati e offesi non c’era coalizione, unione contro quei pochi che detengono il potere di ridurli così? L’educazione e la paura erano le risposte. Il lavoro che lo stato assegna a quelli che si definiscono maestri, professori (fatta eccezione per pochi casi), che hanno il compito di farti imparare a memoria delle informazioni che poi un giorno non serviranno a nulla a meno che non si posseggano dei soldi per inventarsi qualcosa, per sopravvivere. La manipolazione sulle menti dei più piccoli, le punizioni, il farti sentire a disagio per la tua spontaneità, le statistiche, i problemi dell’adolescente, del bambino. Mai si chiedono se sia o no il sistema di cose esistenti sbagliato? Educare, togliere all’essere sin dalla sua giovane età il proprio io, manipolarlo, plasmarlo…. Il modificare un individuo ora lo si può fare direttamente in laboratorio con la genetica. Che bei progressi che fa la tecnologia, aiuta a vivere meglio, guarisce dalle malattie, scopre l’elisir di lunga vita. Ma intanto manipola, sceglie, seleziona, immagazzina, produce cose viventi, cosifica i soggetti. Sil aveva capito tutto ciò guardandosi attorno, ma quando provava a parlare con qualcuno riguardo a questo tutti lo snobbavano. Lucia intanto continuava la sua giornata passando per il supermercato a prendere rifornimenti, qualche birra e un po’ di caramelle, tanto per addolcire quella giornata. Purtroppo non l’avevano presa per un progetto europeo alla quale si era iscritta ed era depressa. “Cosa farò della mia vita? Che sbocchi ho, quali sono le possibilità che questa merda di mondo mi da per realizzarmi?” si chiedeva Lucia preoccupata ed invasa da un attimo di ansia profonda che aiuta a capire l’assurdità di tutto quanto e il non senso di tutte le invenzioni umane. Si perché tutto il mondo vissuto in comunità è il prodotto artificiale di un gruppo di persone che vogliono mantenere il loro potere sulle altre. “Questo gruppo possiamo chiamarlo dei politici, della chiesa, dello stato, di tutte queste organizzazioni che si mascherano da utili al fine di non dover preoccuparsi di rompersi la schiena per poter mangiare e sopravvivere. Che bello era fare finta di lavorare e guadagnare somme che una persona normale non avrebbe mai visto in due o tre vite” – pensava Sil tra se. La soluzione era fare come loro Sil, fingere e non lavorare! “disse una voce nella sua testa. Dato che però non si poteva entrare nella casta c’era il pericolo di morire di fame e quindi le due situazioni non erano comparabili. Cercare un lavoro era diventato come fare l’elemosina e nessuno faceva nulla. La vergogna di dire che non si faceva niente era insita in tutte le anime disumane di quei manichini che affollano le vie squallide della città, indifferenti alle sventure altrui, nei modelli che si propagano per le strade. Tutti pensano di avere uno stile, in realtà sono per la maggior parte il prodotto dell’industria globale che comanda nella loro essenza gli esseri allontanati da sé. Il capitalismo è entrato nelle vene della gente, nulla gli è estraneo, qualsiasi cosa fa parte della relazione vendo-compro-consumo. La realtà inventata e artificialmente trapiantata nelle menti degli individui è quella che regola il loro tempo, le loro esistenze e le loro vite. Nulla può uscire dal controllo del mondo dei consumi, della statistica e dell’autorità. Nulla può dar voce a qualcosa di contrario e opposto perché illegale. “Quando si arriverà alla psicopolizia?” si chiedevano Lucia e Sil quella sera una volta ritrovatisi per bere un aperitivo. Per lo meno Sil adesso aveva trovato qualcuno con cui condividere i suoi pensieri e le sue riflessioni senza essere preso per un fallito ed un inutile. Lucia avanzava i suoi discorsi, gli dava l’importanza che Sil apprezzava. Ora quei momenti con Lucia volavano, il tempo aveva la metà della sua durata artificiale. Quella notte però una volta tornato a casa Sil abbracciatosi a Tebra aveva cominciato a capire la brevità della vita, aveva paura di quello che ci sarebbe stato dopo la morte. Non voleva andare in quei luoghi descritti dalla visione cristiana dell’esistenza. Non voleva abbandonare Tebra, non voleva…………… Fuori pioveva, qualche passante ubriaco lanciava le ultime grida della notte, e per un attimo il mondo sembrava essersi dimenticato di Sil.

Marco Marian

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