Un segreto (Parte prima)

C’era da lavorare per trasferirsi al più presto nella nuova casa, quella vecchia sarebbe venuta a giorni. Intanto Sil era immerso nelle sue letture. Voleva diventare uno scrittore.

Si diresse al suo nuovo indirizzo e portato il necessario cominciò ad arredarlo a suo gusto. Tebra intanto esplorava il giardino. “Bene da domani vivremo qui..” esclamò tirando un sospiro che non si capiva bene se era di emozione o tristezza. In effetti gli stava andando sempre peggio, praticamente era un senza tetto. Non aveva alternative. Diretto a casa mise nello zaino militare le ultime provvigioni e chiusa la porta a chiave aspettò l’alba per uscirsene di soppiatto. “Si fotta quella vecchia spilorcia, non vedrà un soldo stavolta…” e camminando verso la loro nuova casa Sil e Tebra approfittavano per fare i loro bisogni. Da quel giorno in poi in teoria non avrebbe nemmeno avuto una doccia. Aperte le porte di casa, messi a posto un po’ i vecchi mobili e preparato il materasso dove avrebbe dormito, Sil era sommerso dai suoi pensieri, faceva quei gesti in maniera automatica come se fosse abituato a farli. La casa stava venendo bene. Sistemato il tutto rimaneva da organizzare la luce. Al momento non aveva l’elettricità e forse non l’avrebbe mai avuta. Quindi il primo pensiero fu quello di recarsi nella vecchia chiesa del paese poco fuori la città e di rubare qualche candela. Fatto questo rimaneva il tempo per una birra e chissà per avvisare qualcuno su dove vivesse adesso. Passato per il solito bar, prese un liquore alle erbe e si sedette ad osservare i movimenti delle persone che parevano condurre una vita normale. Lui era ufficialmente un escluso sociale, un senza tetto, senza reddito e senza un posto dove stare. La società lo aveva liquidato, aveva tirato la catena e adesso quel residuo organico nel quale si era trasformato, doveva navigare in quella che da quel giorno sarebbe stata per lui una fogna. La sola cosa positiva era che si stava avvicinando la primavera e il freddo invernale per qualche mese non lo avrebbe tormentato. “Sil come stai? Hai qualcosa?” chiese un cliente fisso del bar tutto agitato. “Si certo quanto ti serve? Ti va bene così?” “Si perfetto, non so come ringraziarti”. Anche quella sera aveva guadagnato qualcosa per sopravvivere qualche giorno. Il mondo del lavoro intanto si stava allontanando sempre di più. Qual era stata la sua colpa, si continuava a chiedere, cosa aveva fatto di sbagliato? Niente, era la sua risposta. In teoria avrebbe avuto tutto il diritto di essere un professore di filosofia, essendo laureato. Ma i vari cavilli burocratici non glielo permettevano. Aveva cercato un lavoro e non lo aveva trovato, e quando lo aveva trovato era stato umiliato e sfruttato, ingannato e derubato del suo tempo. In quella situazione ci si era ritrovato non perché lo volesse ma perché era stato costretto. Solo adesso apprezzava quello che stava scoprendo. Se non si è ricchi o benestanti non si ha il diritto nemmeno di farsi sfruttare. A questo si era arrivati. Per fare qualsiasi cosa si doveva passare attraverso il denaro. I rapporti umani erano basati esclusivamente sulla moneta. Il motore della vita, di qualsiasi movimento, era dettato dall’impulso all’acquisto, dal consumo e dal profitto. Il falso piacere, la falsa sicurezza che provoca l’uso del denaro è la base sulla quale si forma l’individuo moderno a scapito dei più deboli. Chi non lo possiede è un escluso, non può fare nulla, nessuna azione è ritenuta tale se non si è in grado di poter far valere dei soldi. Il rapporto produttore-consumatore era quello che si affermava anche al di fuori del mondo del lavoro. Le relazioni sociali erano la continuazione del mondo produttivo.

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