TRIESTE – Lo scorso mercoledì è risultato essere la giornata centrale dell’ottava di Borsa conclusasi oggi, densa di appuntamenti macroeconomici di rilievo (le decisioni di politica monetaria della Bank of Japan, la riunione dei capi di Stato e di Governo dell’UE, il discorso del governatore della Fed al Congresso USA sullo stato dell’economia) e forse prologo ad un nuovo periodo di grande instabilità per i mercati finanziari, di cui il vertiginoso crollo dell’indice Nikkei (-7,3% una perdita di circa 314 miliardi di capitalizzazione) potrebbe rappresentare quella correzione indispensabile per riprendere la strada della crescita, come già intuito ed affermato dall’ex ministro giapponese delle Finanze Eisuke Sakakibara.
Nel nostro piccolo, con il commento dello scorso 17 maggio, anticipammo anche noi quanto stridesse, in un contesto di generale debolezza, l’esuberanza palesata da molti listini nel conseguire nuovi massimi storici, frutto dell’operato delle banche centrali che hanno inondato di liquidità i mercati: emblematico il caso del Giappone e dell’aggressiva politica economica attuata dal suo premier Shinzo Abe, capace di rilanciare il PIL (Prodotto Interno Lordo) grazie ad un indebolimento dello yen che ha consentito l’incremento dei consumi privati, l’aumento della spesa pubblica ed il miglioramento delle esportazioni.
In considerazione del possibile impatto che le politiche giapponesi potrebbero avere tanto sugli Stati Uniti quanto sull’Asia (il paese del Sol Levante è un mercato importante per gli esportatori cinesi), da tempo gli analisti cercano di prospettare cosa accadrà quando le Banche Centrali ed i Governi dei paesi più progrediti sospenderanno quell’enorme stimolo noto come Quantitative Easing (QE), una delle modalità con cui avviene la creazione di moneta e la sua successiva iniezione nel sistema finanziario ed economico.
Durante la sua audizione di fronte al Joint Economic Committee del Congresso americano, il numero uno della Federal Reserve (Fed) Ben Bernanke ha allontanato l’imminenza di quest’eventualità, dichiarando che l’istituto centrale non modificherà la propria politica monetaria né ridurrà gli stimoli all’economia (cioè il QE) in presenza di un’inflazione (aumento dei prezzi di beni e servizi che genera una diminuzione del potere d’acquisto) contenuta; relativamente alla situazione del Vecchio Continente ha invece affermato che «a partire dalla scorsa estate le condizioni finanziarie nell’Eurozona sono migliorate».
Dal parte sua negli ultimi due anni la BCE (Banca Centrale Europea) è intervenuta più volte in soccorso dei mercati e dell’Eurozona, sia operando sui tassi di interesse che affiancando a questa ulteriori misure di salvaguardia: ben due LTRO (Long Term Refinancing Operation, piano di rifinanziamento a lungo termine), un piano OMT (Outright Monetary Transactions, operazioni monetarie definitive che consistono nell’acquisto diretto da parte della BCE di titoli di Stato a breve termine emessi da Paesi in difficoltà macroeconomica grave) ed il fondo salva-Stati ESM (European Stability Mechanism, meccanismo europeo di stabilità).
Grazie al miglioramento del clima di fiducia ed all’allentamento delle tensioni così ottenuti, confermati dal forte calo dei rendimenti dei titoli di Stato dell’Europa periferica, anche nel mese di maggio gli indici PMI manifatturiero e dei servizi (stima flash) in Europa sono saliti in maniera leggermente superiore alle stime degli analisti, primi timidi segnali di miglioramento dell’economia; invece i dati riferiti a Francia e Germania, che indicano il loro permanere in una fase di contrazione, hanno condizionato l’indicatore di fiducia dei consumatori che, pur in leggera crescita rispetto al mese di aprile, è stato di poco peggiore delle attese.
A dispetto del crollo della Borsa di Tokyo di cui abbiamo trattato in apertura, ultima seduta di ottava positiva per i mercati asiatici, anche se caratterizzata da elevata volatilità a causa delle contraddittorie dichiarazioni del presidente della Bank of Japan (BoJ) Haruhiko Kuroda: dopo aver garantito la volontà di dare stabilità al mercato dei titoli del debito pubblico (Jgb, Japan government bond) ed aver annunciato che la risalita dei tassi di interesse conferma che le misure di politica monetaria espansiva stanno dando i loro frutti, ha precisato che la Banca Centrale farà quanto possibile per frenare la volatilità sul mercato obbligazionario: «Non abbiamo target specifici – ha detto – per i prezzi azionari e i tassi di cambio», ma «poiché la BoJ è direttamente coinvolta nelle operazioni di mercato, dico che la stabilità è molto desiderabile». Nel dubbio che tale dichiarazione sia frutto di un mero errore di comunicazione o d’incertezza, il Nikkei ha proceduto a strattoni per poi chiudere a +0,89%, mentre Shanghai ed Hong Kong hanno beneficiato dei rialzi dei titoli del comparto tecnologico e dell’health care per registrare rispettivamente uno +0,56% ed un -0,01%.
Sulla scorta dei non entusiasmanti dati provenienti dall’Asia, indicanti una forte contrazione della manifattura cinese, e sulla possibilità che la Fed possa decidere di frenare gli acquisti di titoli di Stato, Piazza Affari (FTSE Mib -0,65%, FTSE Italia All-Share -0,67%)e le principali Borse europee (Parigi -0,26%, Francoforte -0,56%, Londra -0,63%) hanno segnato diffusi ribassi nell’ultima seduta della settimana.
A Milano performance negative per il comparto dei bancari (IntesaSanpaolo -4,31%, Unicredit -3,93%, Monte di Paschi di Siena -3,7%) a cui si è aggiunta Generali (-3,28%) sulle negative prospettive per i prossimi trimestri a seguito del difficile momento del mercato italiano; al centro dell’attenzione anche Telecom Italia (-1,66%) nel giorno della riunione del Consiglio di Amministrazione per l’esame del progetto di separazione dell’infrastruttura di rete, mentre altre vendite colpiscono i petroliferi (Eni -2,6%, Enel -2,2%, Saipem -2,27%).
Sul fronte del debito sovrano in aumento lo spread tra il Btp ed il Bund decennali, con il differenziale tra titolo italiano (Btp maggio 2023) e tedesco portatasi a 263 Bp (Basis point, punti base) dai 254 della chiusura di ieri; il rendimento a dieci anni ha superato il 4%, mentre quello del titolo biennale ha sfiorato l’1,4%.