L’italia alla ricerca dei suoi evasi: Cutrì e Mammoliti

ROMA – Sono estese in tutt’Italia le ricerche dei componenti del commando armato che lunedì ha assaltato un furgone della polizia penitenziaria a Gallarate, in provincia di Varese, liberando un ergastolano.

Nel corso della sparatoria sono rimasti feriti non gravemente due agenti di polizia, mentre il detenuto è riuscito ad evadere. Si tratta di Domenico Cutrì, 32enne calabrese residente a Legnano, che è stato condannato all’ergastolo come mandante dell’omicidio di un polacco, Luckasz Kobrzeniecki, ucciso a colpi di pistola nel 2006 a Trecate (Novara) probabilmente per questioni sentimentali. Cutrì stava per essere trasferito dal carcere di Busto Arsizio agli uffici del tribunale di Gallarate. Poco dopo il blitz, il fratello dell’evaso, Antonino, è stato portato in ospedale dalla madre a Magenta. L’uomo, ferito gravemente durante la sparatoria, è arrivato già morto. La donna ha raccontato che i fuggitivi lo avevano portato a casa sua proprio per le sue gravissime condizioni. Lunedì sera una nuova notizia a sorpresa secondo la quale si sarebbe costituito ai carabinieri un altro fratello dell’evaso, notizia poi smentita dell’Arma. 

 

La madre di Cutrì: “Farlo fuggire era l’ossessione del fratello” – “Far evadere Domenico era l’ossessione di Antonino” – ha raccontato agli investigatori. L’evasione di Cutrì è una notizia “che lascia senza parole: siamo scioccati”. Così commenta l’accaduto l’avvocato Alessandro Bonalume, il legale della famiglia di Lukasz Korbzeniecki, il giovane polacco ucciso otto anni fa a Trecate, perché avrebbe fatto delle avances alla fidanzata di Cutrì. Carabinieri e polizia cercano ora altri uomini che sono entrati in azione nel blitz per liberare Cutrì. Gli uomini del commando erano arrivati a bordo di due auto, una delle quali è stata trovata vicino al tribunale, con a bordo alcune armi. “Si tratta di un episodio molto grave che sto seguendo, nella sua evoluzione, in costante contatto con i vertici del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria”. Lo ha detto il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, parlando dell’evasione di Cutrì . “Spero – ha aggiunto il ministro – che al più presto l’ergastolano evaso e la banda complice vengano assicurati alla giustizia”. Secondo il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri, tutto si sarebbe potuto tranquillamente evitare avvalendosi dello strumento della videoconferenza. A fronte di questa serena considerazione, arriva immediatamente un’adesione convinta da parte dello stesso leader nazionale del Pd Matteo Renzi: “Mi ha colpito l’analisi del procuratore Gratteri. Con la videoconferenza avremmo evitato assalto, morti, evasione”, scrive su un social network. “Tecnologia e Giustizia, perché aspettare ancora?”, si chiede Renzi. Ma le fughe non finiscono con quella di Cutrì. Altro boss, altra storia. A far perdere le proprie tracce oggi è stato Saro Mammoliti, “re di Castellace” e capo della cosca ‘ndranghetista che opera proprio a Oppido Mamertina, Reggio Calabria. L’uomo si trovava ai domiciliari in una località protetta a Tivoli in attesa delle sentenza di un processo che lo vedeva imputato per estorsione aggravata. Quando il boss 72enne ha saputo della condanna a dieci anni e sei mesi, arrivata proprio nell’ambito di questo procedimento, ha preferito fuggire non facendosi trovare dai carabinieri che volevano notificargli il provvedimento d’arresto. La fuga, che risale al 29 gennaio, è stata ora confermata dal procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho. Saverio Mammoliti, detto “Saro” aveva iniziato a collaborare con la magistratura nel 2003, mentre si trovava in carcere per scontare una condanna per associazione mafiosa. Il 21 maggio 2003, collegato in videoconferenza con i giudici della Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria che lo dovevano giudicare, il boss lanciò un appello a rompere l’omertà e denunciare i propri crimini collaborando con la giustizia. Non tutti, però, credettero ad un reale pentimento dello ‘ndranghetista che qualche anno dopo, nel novembre del 2012, tornò in carcere. “Saro”, insieme al figlio Antonino ed al figlio illegittimo Danilo Carpinelli, fu arrestato dai carabinieri nell’ambito di un’operazione contro la cosca Mammoliti-Rugolo. Al boss veniva contestata una tentata estorsione alla cooperativa di Libera Terra Valle del Marro. Mammoliti avrebbe cercato, secondo i pm, di imporre ai giovani di Libera di rinunciare ad acquisire dei terreni confiscati alla sua cosca. Ora, dunque, tutta l’Italia è alla ricerca dei due evasi. 

 

 

 

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