PERUGIA – Ha passato quasi 18 anni in carcere con l’accusa di essere stato la “mente” del sequestro di Vanna Licheri: oggi Pietro Paolo Melis è stato assolto “per non avere commesso il fatto” dalla Corte d’appello di Perugia che ne ha ordinato “l’immediata” scarcerazione.
Sentenza arrivata al termine del processo di revisione chiesto e ottenuto dai suoi difensori, gli avvocati Alessandro Ricci e Maria Antonietta Salis. “La più grande soddisfazione. Un risultato che appaga pienamente gli sforzi profusi per l’affermazione dell’innocenza di un uomo detenuto da tanto tempo” il commento dei legali. L’allevatore di Mamoiada (Nuoro), oggi 56 anni, venne arrestato nel dicembre del 1998. Per l’accusa era stato uno degli organizzatori del sequestro di Vanna Licheri, possidente di Abbasanta (Oristano), rapita il 14 maggio del 1995 poi morta durante la prigionia. Forse nel mese di ottobre di quello stesso anno, ipotizzarono gli inquirenti, quando cessarono i contatti tra rapitori e familiari. Melis, che si è sempre proclamato estraneo al sequestro, finì in carcere anche sulla base di una perizia fonica che individuava come sua la voce in un’intercettazione ambientale in auto con un altro imputato. Venne quindi condannato a 30 anni di reclusione con una sentenza divenuta definitiva il 13 dicembre del 1999. I suoi difensori non si sono però mai arresi. Hanno quindi chiesto e ottenuto la revisione del processo davanti alla Corte d’appello di Perugia, per questioni procedurali.
Con una consulenza di parte per la quale sono stati utilizzati software sofisticati sono infatti riusciti a mettere in discussione la perizia fonica che all’epoca identificò la voce. E il nuovo processo d’appello ha dato loro ragione, concludendosi con l’assoluzione di Melis. L’allevatore nel corso del processo di secondo grado celebrato a Cagliari aveva affermato che mai avrebbe potuto compiere un reato “così infame” come il sequestro di persona perché anche la sua famiglia era rimasta vittima di un rapimento. Innocenza ribadita anche dopo sentenza di condanna “Mi hanno rovinato la vita per niente – ha detto -, mi condannano senza una prova. Non hanno una prova”. Un’innocenza oggi riconosciuta dalla Corte d’appello di Perugia.